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La parola ad Alessandro Monterosso, Leader Forbes Under30 che con un’intelligenza artificiale empatica risolve i dubbi dei pazienti e ne monitora la salute

15 Aprile 2020 Associazione Alumni_admin Categories Interviste Medicina, news
Alessandro Monterosso, infermiere e stratupper, ha messo la propria creatività al servizio dei pazienti ideando PatchAi, l’app che permette di monitorare da casa la salute dei pazienti e raccogliere informazioni sull’efficacia delle terapie farmacologiche. Il segreto? Un’intelligenza artificiale empatica che sappia dialogare con chi è in cura. Alessandro, inserito nei Young Leaders Under 30 del 2020 di Forbes Italia, ci racconta del suo percorso e di come la sua app può fornire un prezioso aiuto per affrontare Coivd-19.

Buongiorno Alessandro. Preferiremmo non partire subito con l’avventura imprenditoriale che ti ha reso famoso, bensì vorremmo chiederti di tornare con la memoria ai tuoi studi universitari e il percorso che hai fatto a Padova. Come lo ricordi, com’è stato… Sono stati anni positivi?

Ho iniziato il mio percorso di laurea in infermieristica all’Università di Messina, ma al secondo anno chiesi il trasferimento: qui a Padova, il mio ambito di interesse – l’infermieristica pediatrica – godeva di un’ottima fama.

L’impatto è stato da subito molto buono, lo definirei uno “shock in positivo”, sia per quanto riguarda l’organizzazione delle lezioni, sia in generale per l’atmosfera che si respirava. Ma soprattutto per l’orientamento all’attività clinica e le numerose occasioni di lavorare a contatto diretto con i pazienti.

Dettaglio del Teatro Anatomico dell'Università di Padova

Per proseguire gli studi ho potuto usufruire, grazie a un buon rendimento, dell’ottimo sistema di agevolazioni previste dall’Università di Padova, come le borse di studio o l’alloggio presso la Residenza universitaria ESU Copernico. Sono stati gli anni più belli, che mi hanno permesso di crescere e di fare un sacco di esperienze; certo, lo studio era molto pesante, ma erano tante e maggiori le gratificazioni. Nella mia classe, poi, al secondo anno eravamo solo in 18, per cui era facile instaurare un rapporto stretto sia con docenti che fra noi studenti.

Mentre studiavi, avevi già l’idea di diventare un imprenditore? Quando hai cominciato a maturare l’idea di un percorso diverso rispetto a quello dell’infermiere “classico” e a pensare allo sviluppo di una tua impresa?

Tutto è partito dal mio interesse per la ricerca e la didattica: finito il percorso di studi triennale ho cercato subito nuove opportunità e ho ottenuto una borsa di ricerca nel team del professor Bisogno, in oncologia pediatrica, iniziando a lavorare come infermiere di ricerca. Con un master in ricerca clinica ottenuto già mentre lavoravo, ho collaborato alla stesura di un manuale di procedure infermieristiche, edito da Zanichelli, di cui sono coautore, il cui curatore è il Prof. Pierluigi Badon, che considero mio mentore e a cui sarà sempre grato. Fu così che, lavorando sia in corsia che in ricerca, ho avuto la possibilità di conoscere dall’interno i processi e l’’organizzazione sanitaria e mi venne naturale cominciare a ragionare sulla loro ottimizzazione, in un’ottica di miglioramento continuo della qualità e del rapporto con i pazienti.

PatchAi ha vinto numerosi concorsi per startup, grazie alla sua potente carica innovativa in ambito sanitario

Nel corso dell’anno, dopo aver vinto un concorso pubblico, ho iniziato un’esperienza presso l’oncologia pediatrica dell’Azienda Ospedaliera di Padova, dove ho percepito che c’erano dei bisogni inespressi da parte dei pazienti, e che non c’erano soluzioni nel mercato che rispondessero a questi bisogni. Così ho deciso di intraprendere un percorso di formazione sull’economia del settore sanitario, durante il quale ho conosciuto i miei attuali soci, e da lì è nato il progetto.

Quindi ti occupavi di procedure ospedaliere, ma la tua app è molto orientata a chi riceve le cure. Hai visto delle lacune nel modo in cui le informazioni venivano comunicate ai pazienti, o nella somministrazione dei farmaci?

Il principale gap che esperivo ogni giorno era lo spazio, lasciato vuoto, di ciò che accade fra una visita e l’altra. Tutto quanto sta “in mezzo” è un territorio poco definito, il paziente o il care giver non sono seguiti direttamente e hanno difficoltà a trovare una risposta ai propri (molti) dubbi, timori, paure… Come infermiere, mi sforzavo di colmare quello spazio in autonomia e in maniera piuttosto “empirica”: mantenevo il contatto con i genitori dei giovani pazienti via whatsapp, comunicando le raccomandazioni di trattamento, rispondendo a domande e richieste, raccogliendo al contempo in maniera informale indicazioni sulla compliance con la terapia prescritta. Partendo dal presupposto che molte delle comunicazioni che intrattenevo erano simili e potevano essere “automatizzate”, è nata l’idea che ha portato a PatchAi.

PatchAi è dotata di una tecnologia di intelligenza artificiale che simula una conversazione empatica

L’app ha un bot con intelligenza artificiale empatica, che risponde ai dubbi dei pazienti e al contempo raccoglie dati sull’andamento della terapia, effetti collaterali e stato di salute. Da un lato, aumenta la collaborazione e l’esperienza positiva da parte del paziente, che si sente più seguito anche fuori dall’ospedale, dall’altro ci dà preziose informazioni per la progettazione di farmaci e terapie.

Com’è stata la prima fase di vita di PatchAi, quali sfide e quali opportunità vi si sono presentate?

Come tutte le startup, PatchAi è nata inizialmente dalla coesione e dalla complicità createsi fra i quattro founder, un team con diverse competenze al suo interno, di tipo medico, psicologico, scientifico e farmaceutico.

Uno snodo importantissimo per la nostra crescita è stata una call for ideas di Cariplo Factory: per puro caso ci siamo imbattuti in questo concorso a 24 ore dalla scadenza. Ci siamo guardati e ci siamo detti “proviamoci!”. Una giornata febbrile a preparare tutti i materiali richiesti dal concorso in pochissimo tempo, ma ce l’abbiamo fatta: abbiamo consegnato la nostra proposta e abbiamo vinto tra le tante startup in gara.

Il team di PatchAi, da sinistra a destra: Alessandro Monterosso (CEO), Palanivel Kumara (CBDO),Filip Ivancic (COO) e Daniele Farro (CAO)

Il nome PatchAi, oltre ovviamente al richiamo all’artificial intelligence, usa il termine patch, ovvero cerotto, per evocare l’ambito sanitario, ma anche l’empatia della figura di Patch Adams, medico di comunità famoso in tutto il mondo per il film biografico su di lui, con protagonista Robin Williams.

Per lo sviluppo della app ci siamo appoggiati a un team esterno di programmatori in una prima fase, essendo noi tutti provenienti dall’ambito sanitario. Quando siamo cresciuti, abbiamo potuto internalizzare le risorse di cui avevamo bisogno.

In che fase vi trovate, e dove siete diretti come startup? I possibili utilizzi della vostra app dischiudono un mare di possibilità…

Sì, sicuramente. Il 2019 è stato l’anno di raccolta del seed money, il capitale di investimento iniziale, e al momento siamo ufficialmente accelerati Plug & Play in Silicon Valley, l’incubatore che ha ospitato a suo tempo tra gli altri Google, PayPal, Logitech.

Stiamo lavorando giorno e notte per contribuire con la nostra piattaforma nell’emergenza Covid-19, perché possa supportare la popolazione generale attraverso funzioni quali il self-triage, in armonia con le direttive Ministeriali e delle diverse Regioni, dando come ouput delle indicazioni all’utente su come comportarsi (stare a casa, contattare il medico, chiamare il numero verde, ecc.).

Oltre a ciò, permette il monitoraggio quotidiano dei sintomi e di geolocalizzare i casi, al fine di costruire dei modelli epidemiologici dell’epidemia. Infine, ci sarà una sezione news che veicola informazioni solamente da fonti ufficiali: sappiamo bene quanto in questa fase delicata le fake news siano pericolose. Con questo progetto abbiamo la fortuna di collaborare tra gli altri proprio con l’Università di Padova.

Due parole in chiusura… a infermieristica non hai avuto corsi di auto-imprenditorialità e innovazione. Ha senso formare su queste materie anche studenti di corsi di laurea, come infermieristica, dove gli sbocchi di carriera sono generalmente più inquadrati?

L’anno scorso ero a Bruxelles presso lo European Medicines Agency a un evento sull’intelligenza artificiale nel sistema sanitario: mi è rimasta forte l’impressione di un gap fra sanità e tecnologie innovative, anche a livello di standard clinical practice, forse dovuto alla necessità di rivedere i percorsi formativi attuali e di orientarli maggiormente verso il futuro.

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