Pezzutto Antonio
Director Dept. of Hematology, Oncology and Tumor Immunology Charité Medical School (Berlino) | Luglio 2016
Laurea in Medicina
La seconda metà degli anni Settanta e i primi anni Ottanta – ho studiato dal ’72 al ’78, poi sono stato medico interno dal ’78 all’82 – sono il periodo in cui ho avuto la fortuna di studiare e formarmi all’Università. A Padova gli insegnamenti preclinici come chimica e biochimica erano davvero eccellenti. Anzi, devo riconoscere che in Italia l’aspetto teorico era fra i migliori al mondo (approfitto ancora oggi di un’ottima formazione in anatomia, biochimica e fisiologia) e ho avuto la possibilità di incontrare professori del calibro di Carlo Gregolin, Walter Thiene, Alfredo Girolami, e in seguito Cesare Dal Palù, e Giuseppe Gasparotto, che hanno risvegliato in me la passione per un approccio scientifico alla medicina. Grazie a loro ho poi scoperto l’ematologia e l’immunoterapia, cioè l’ambito nel quale mi sono specializzato negli anni seguenti ed ho iniziato a dividere il tempo in reparto con attività di ricerca in laboratorio nel campo delle leucemie, dei linfomi e della sarcoidosi. In questo ho approfittato dell’eccellente supervisione (e formazione scientifica) da parte del professor Gianpietro Semenzato. Quindi posso dire che a Padova è nata la scintilla della ricerca. Certamente l’inizio della carriera da ricercatore non è mai facile ed è possibile solo a costo di sacrifici personali: io, come molti colleghi medici, prestavo servizio in strutture sanitarie per mantenermi. Dopo aver lavorato (si cominciava alle 7 di mattina) in un laboratorio di diagnostica, per due anni, ho lavorato negli hotel di Montegrotto Terme, dove visitavo gli ospiti delle strutture; conoscevo, infatti, il tedesco grazie alla madre nata in Germania. E una serie di coincidenze mi ha portato a scegliere questo paese come patria professionale e personale della mia vita.
Agli inizi degli anni ’80, infatti, non c’erano tutte le informazioni disponibili oggi tramite Internet (che ho scoperto solo nel 1984 durante il periodo di ricerca negli Stati Uniti). Le scelte erano la sommatoria di più variabili e posso dire che nella mia esperienza sono stati il caso e la mia famiglia a farmi preferire Heidelberg, nel 1983, come Università dove continuare il lavoro di ricerca iniziato a Padova. Lì, infatti, c’era la possibilità di fare ricerca e attività clinica sugli anticorpi monoclonali: proprio le attività di ricerca iniziate a Padova mi hanno aperto questa possibilità, quindi potevo unire l’aspetto pratico con l’attività di studio. In realtà il passaggio fra la città in cui mi sono laureato e Heidelberg (una delle più vecchie Università tedesche con una posizione prominente a livello internazionale nel campo della ricerca oncologica) è stato facile: entrambe hanno una forte vocazione universitaria e sono simili per molti aspetti sia come dimensioni urbane che come struttura sociale. E a prescindere dalla collocazione geografica, è solo attraverso il duro lavoro che i risultati si vedono. Certo, le Università americane hanno una forte leadership su molti ambiti, ma è importante per tutti gli Atenei e i professionisti continuare a lavorare con passione e determinazione.
La stessa determinazione, credo, sia necessaria per far crescere l’Associazione Alumni. In Italia, in Germania e più in generale in Europa, queste realtà stanno nascendo. Rispetto alla radicata tradizione americana, le nostre Università partono in ritardo. Ma molto si può fare. Essenziale è che l’Associazione Alumni diventi un promotore di eventi e di incontri rivolti verso il grande pubblico, affinché i temi di ricerca non diventino fenomeni di nicchia. Anche attività di divulgazione scientifica e di dialogo per coinvolgere la popolazione e le diverse componenti sociali (politica, etica, religione) su temi che oramai coinvolgono aspetti importanti del nostro essere umano (ricerca su cellule staminali, interventi sul codice genetico con le nuovissime tecnologie CRISPR- Cas9 o aspetti etici nel campo delle fasi terminali di vita) sono diventati fondamentali e le Università devono occupare un posto preminente in questa discussione. Le associazioni di Alumni, avendo il vantaggio di non essere coinvolte, e soprattutto affette, in prima persona dai processi – talora assai competitivi – di distribuzione di fondi e da competizioni individualistiche o interessi di parte possono avere un importante ruolo di mediazione e moderazione del discorso scientifico. Per questo la connessione fra Università, Associazione Alumni e opinione pubblica deve essere forte e continuamente ribadita. E grazie al dinamismo delle iniziative è possibile riattivare quel senso di appartenenza che spesso, nel singolo individuo, è sopito, ma non è scomparso: attende solo le leve giuste per emergere.
27 Luglio 2016