“Risolvere enigmi, un po’ come Sherlock Holmes. Per questo amo la matematica”. Intervista a Simone Dovetta, vincitore del Premio “Tullio Levi-Civita”
Simone Dovetta, classe 1992, è il giovane vincitore della prima edizione del Premio Tesi di Dottorato “Tullio Levi-Civita” dell’Università di Padova. Ha conseguito laurea e dottorato in matematica a Torino, e oggi è assegnista di ricerca all’Istituto di Matematica Applicata e Tecnologie Informatiche del CNR di Pavia. Simone, come nasce la tua passione per la matematica?
Questa passione risale ai tempi del liceo scientifico, indirizzo biologico-sanitario, a cui mi ero iscritto con l’idea di diventare, un domani, medico. In realtà, dopo appena tre lezioni di biologia, capii che quella non era la mia strada.
Tra le materie scolastiche, la matematica mi veniva invece abbastanza naturale. Non ero, però, molto bravo in quelle competizioni come le “Olimpiadi della matematica”, alle quali arrivavo puntualmente tra gli ultimi. Mi ha piuttosto sempre affascinato il lato investigativo di questa scienza, la ricerca di una soluzione non scontata alla quale si tenta di arrivare per strade diverse. Pensate che ci sono problemi ancora aperti, che possono essere presentati in una sola riga, ma che da centinaia di anni matematici di tutto il mondo provano e riprovano a risolvere… senza successo.
Ai tempi delle scuole superiori era affascinato poi da personaggi come Sherlock Holmes e Doctor House: sentivo di condividere con queste figure di fantasia una forte vocazione al ragionamento, alla riflessione, al porsi da soli di fronte alla complessità di una disciplina e provare ad affrontarla con mezzi propri.
Un libro che mi ha particolarmente avvicinato alla matematica durante l’adolescenza è stato “L’enigma dei numeri primi: L’ipotesi di Riemann, il più grande mistero della matematica”. Tuttora mi piace leggere testi divulgativi di matematica, anche e soprattutto da settori lontani dal mio (l’analisi). Non amo l’iperspecializzazione e, anzi, nel corso della vita vorrei potermi interessare a temi anche molto diversi tra loro.
Il Premio Tesi di Dottorato “Tullio Levi-Civita” era aperto a giovani ricercatori da tutte le Università italiane. Non è il primo riconoscimento che ricevi per l’eccellenza dei tuoi lavori di ricerca e hai già pubblicato numerosi lavori scientifici; impossibile non pensarti come un talento destinato a raggiungere grandi traguardi. Sbirciando il tuo profilo Facebook ti vediamo spesso impegnato alla chitarra: ci parli di Simone, delle sue passioni e dei tuoi interessi?
I risultati sono frutto di tanto lavoro: credo che ognuno di noi, anche con competenze di medio livello, possa raggiungere risultati importanti dedicando tempo ed energie al proprio lavoro.
Ammetto anche di essere stato fortunato, occupandomi di una tematica ampiamente da scoprire e che proprio negli ultimi anni ha cominciato a dare risultati importanti. C’è chi fa ricerca su argomenti già indagati da parte della comunità internazionale da trent’anni, dove è chiaro che i fronti ancora aperti sono necessariamente quelli più sfidanti e impegnativi.
In particolare, durante il mio dottorato ho avuto la fortuna di inserirmi in un team di ricerca eccezionale, circondato da matematici che mi hanno dimostrato costante supporto e disponibilità, e con i quali ho potuto instaurare anche un rapporto umano bellissimo: parlo dei professori Riccardo Adami, Enrico Serra e Paolo Tilli.
Molte persone legano nella loro immaginazione l’idea del matematico alla figura del genio incompreso: non c’è nulla di più lontano da me. Sono un ragazzo normale, amo la musica e suono la chitarra (non particolarmente bene, ma mi diverto ad accompagnarmi nel canto), mi piace leggere e guardare film (in particolare quelli legati a fatti e persone reali).
Gioco a calcetto e sono anche un buon sportivo “da divano”: se il martedì pomeriggio alle 19.00 gioca il Milan, nessun paper potrà sottrarmi alla partita.
Arriviamo al Premio di Tesi di Dottorato “Tullio Levi-Civita”, bandito dal Dipartimento di Matematica “Tullio Levi-Civita” dell’Università degli Studi di Padova, in collaborazione con l’Associazione Alumni dell’Università degli Studi di Padova e con il sostegno di Corvallis Holding S.p.A. Come sei venuto a conoscenza del premio e come spiegheresti al pubblico degli Alumni dell’Università di Padova – un Ateneo generalista con 32 dipartimenti – il lavoro di ricerca contenuto nella tua tesi di dottorato?
L’ambito della mia tesi di dottorato sono le equazioni di Schrödinger non lineari su grafi metrici. Cercando di tradurre in parole semplici, possiamo dire che ci occupiamo di modelli matematici che descrivono fenomeni fisici che si sviluppano su domini ramificati. I grafi metrici sono stati introdotti per la prima volta negli anni ‘50 nella modellizzazione di alcuni problemi della chimica, per poi trovare riscontri molto interessanti in una vasta gamma di applicazioni, tra cui la meccanica quantistica.
Con i professori Adami, Serra, Tilli e con altri giovani colleghi al Politecnico di Torino studiamo in particolare problemi variazionali legati a quest’ultima tematica. Partendo dal presupposto che un sistema fisico può essere spesso descritto matematicamente tramite un’energia, il nostro lavoro consiste nel capire – ricorrendo all’analisi matematica – se esiste una configurazione di minima energia che il sistema può assumere e, in caso affermativo, cercare di descriverla quanto più accuratamente possibile. L’interesse in questo tipo di indagini è motivato dalla convinzione che in natura ogni sistema tenda spontaneamente a stabilizzarsi verso una configurazione che ne ottimizzi l’energia.
Il Premio “Tullio Levi-Civita” mira evidentemente ad alimentare la ricerca scientifica, valorizzando i contributi dei giovani ricercatori eccellenti di cui il nostro Paese è ricco. Vi è però anche un intento sociale, ovvero il recupero della figura storica di Tullio Levi-Civita, docente di meccanica razionale a Padova, poi allontanato dall’insegnamento dal decreto “sulla difesa della Razza” del 1938 per via delle origini ebraiche. Ti va di condividere con noi una riflessione sul tema del rapporto tra scienza e società?
Mi sento fisicamente male quando sento storie come quella del professor Levi-Civita o, per soffermarci su avvenimenti presenti, delle discriminazioni basate sul colore della pelle o condizioni personali. Non è facile però andare oltre questa reazione spontanea ed emotiva che ci porta a chiederci come sia possibile che, ancora oggi, nel 2020, determinate situazioni si ripresentino.
Cercando di fare un passo in più, credo sia sbagliato focalizzarsi esclusivamente sui comportamenti dei singoli, pur chiaramente da stigmatizzare, ignorando il contesto socioeconomico di riferimento e le ragioni storiche che stanno dietro ad alcune dinamiche. Mi piace pensare che sia compito della società, intesa come pluralità di individui e istituzioni, creare un sistema di valori solido e insegnare il rispetto delle minoranze e della diversità. In questo tutti abbiamo un ruolo fondamentale da giocare e ce l’hanno, in particolare, politici e scienziati. Quando sentiamo personalità pubbliche fomentare l’odio e utilizzare linguaggi aggressivi sui giornali o in tv, possiamo davvero sorprenderci se il singolo cittadino, magari con meno risorse e strumenti, emula quegli atteggiamenti?
Per fare un parallelismo con un mondo più vicino al mio, quello della scienza, credo che la recente emergenza sanitaria legata al nuovo Coronavirus sia stata, da questo punto di vista, un’occasione parzialmente persa. Nel tentativo assolutamente necessario di portare il dibattito scientifico al livello dei mass media, abbiamo spesso assistito ad aspri e violenti scontri verbali tra questo e quell’esperto, secondo modi e toni che nulla hanno a che vedere con la discussione scientifica. Il continuo processo di confronto e revisione di ciò che si ritiene di conoscere è una caratteristica peculiare della ricerca scientifica, mentre l’aggressività verbale e la denigrazione di chi propone una tesi diversa dovrebbero esserne corpi estranei. Mi dispiace pensare che tutto questo possa aver contribuito a creare un clima di incertezza e sfiducia nella figura dello scienziato, e non abbia certamente aiutato le persone a comprendere e costruirsi un’opinione informata e consapevole dei fatti.
Mi piacerebbe vedere attorno a me una maggior consapevolezza del ruolo e delle responsabilità di ciascuno, e in particolare di chi ricopre ruoli pubblici. In questo senso, voglio fare un sentito ringraziamento all’Università di Padova, all’Associazione Alumni dell’Università di Padova e a Corvallis Holding per aver istituito un premio che non solo aiuta la ricerca, ma fa bene anche alla società.