Nuove prospettive terapeutiche per la malattia di Huntington: il team vincitore di Start Cup Veneto 2021 è tutto UniPD

25 Novembre 2021 Associazione Alumni_admin Categories Interbiste Scienze, news

Graziano Martello, professore associato di biologia cellulare all’Università di Padova, e Anna Maria Gambetta, dottoranda in medicina molecolare all’Università di Padova, sono i vincitori di Start Cup Veneto 2021, categoria Life Science, una competizione tra idee imprenditoriali innovative finanziata dalle Università di Padova, di Verona e Iuav di Venezia. Guadagnare il primo posto di questa vera e propria gara attira-talenti, oltre al premio in denaro, garantisce l’appoggio di esperti consulenti per lo sviluppo dell’impresa a venire e la possibilità di partecipare alla tappa finale, il Premio Nazionale per l’Innovazione, che si tiene venerdì 3 dicembre 2021.

Martello e Gambetta si sono assicurati la vittoria nella loro categoria grazie a un progetto di terapia per la malattia di Huntington, una rara patologia neurodegenerativa. In Italia si stima ne siano affette circa 6.000 persone e, anche a causa dell’esiguo mercato che un tale insieme rappresenta per le case farmaceutiche, finora non sono state individuate terapie efficaci.

Il team di ricerca del Dipartimento di Biologia è però riuscito per la prima volta a utilizzare le conoscenze disponibili in una maniera completamente nuova, tanto da aver depositato una Domanda di Brevetto grazie alla sinergia con l’Ufficio Valorizzazione della Ricerca dell’Università di Padova.

Professore, innanzitutto complimenti. Ci dica qualcosa di più del progetto vincitore, DNA Switch.

Nella mia ricerca – che ormai porto avanti da circa 7 anni – ho sviluppato una prospettiva alternativa alla cura della malattia di Huntington: anziché somministrare farmaci per curare la malattia, ho scelto la via della terapia genica. Non siamo stati i primi a pensarci, né tantomeno siamo i primi a cercare una cura per questa malattia. Eppure, nonostante i numerosi trial clinici in corso nel mondo, ad oggi nessuno ha prodotto risultati efficaci nei pazienti.

Come DNA Switch ci proponiamo di seguire una via alternativa, quella della terapia genica. Nello specifico abbiamo pensato di somministrare alcuni geni con attività terapeutica, in grado di contrastare i sintomi della malattia. Si intuisce come sia assolutamente necessario conoscere quali geni possiedano tale proprietà. Nel lungo percorso che ci ha condotti fino a qua, la parte più difficile è stata proprio questa, scovare i geni giusti. Dopo cinque anni di continua ricerca, utilizzando cellule staminali, li abbiamo finalmente identificati.

È cominciata a quel punto la fase di sperimentazione sui modelli preclinici, ovvero sugli animali, quali il topo e i pesci Zebra. Abbiamo avuto fin da subito risultati molto promettenti, abbiamo visto che la nostra terapia funzionava. Possiamo dire di aver felicemente concluso anche questa fase di ricerca. Ora dobbiamo dimostrare che quello che funziona sugli animali funziona anche sull’essere umano.

La vostra idea è di creare uno spin-off che si occupi di questo. Qual è il motivo della scelta?

La start up che vogliamo costituire, che auspichiamo possa essere uno spin off universitario, serve a colmare il gap che esiste tra ricerca universitaria e sviluppo industriale, che può essere fatto solo con il supporto delle case farmaceutiche. È una scelta obbligata se vogliamo che questa ricerca possa arrivare ai pazienti: il mercato di riferimento è troppo piccolo per essere attrattivo per gli investimenti privati, a meno che non si ottenga un brevetto e si utilizzi questo asset per catturare l’interesse delle big pharma, che a questo punto possono essere interessate a una licenza esclusiva sulla proprietà intellettuale sviluppata.

Proprio come avviene per una start up tecnologica, in laboratorio abbiamo creato un prototipo promettente, ma serve ora un impegnativo lavoro di ottimizzazione per poter passare alla scala industriale.

Che tipo di impatto potrebbe avere questa terapia sulla vita dei pazienti?

Ancora non lo sappiamo con certezza, ma possiamo dirvi quello che accade in laboratorio. I topi, che vivono al massimo due anni, verso i due-tre mesi cominciano ad ammalarsi, perdendo gradualmente la capacità di muoversi, per poi inevitabilmente morire. Somministrando la terapia genica da noi identificata invece la loro condizione migliora nettamente, tanto che i topolini malati diventano indistinguibili dai fratelli sani.

Tuttavia, è difficile parlare di guarigione, sia nei topi che negli esseri umani: i neuroni che la malattia distrugge non possono essere rigenerati, né ne nascono di nuovi; quindi, le applicazioni del trattamento dovranno essere preventive, in modo da arrestare il decorso della malattia fin dai primi sintomi.

Quando si arriverà a condurre trial sui pazienti, saremo anche in grado di investigare se l’effetto permane nel lungo termine o se sarà necessario somministrare più dosi per rinnovare l’effetto protettivo della terapia.

Quanto da voi realizzato si applica solo a questa patologia?

Questo è un altro capitolo, un’altra porta che la nostra terapia potrebbe spalancare. Esiste infatti la possibilità di applicare la terapia anche ad altre malattie della stessa famiglia, essendo tutte accomunate dalla stessa mutazione genetica, e distinte solo per il gene mutato. La letteratura ci dà speranza perché esistono analogie fra queste malattie.

L’Università è pronta a supportare voi ricercatori anche nelle fasi più avanzate di ricerca come quella che ci descrive?

Assolutamente sì. Negli anni ho avuto la fortuna di ricevere ampi finanziamenti, senza i quali sarebbe stato impossibile fare buona ricerca. Ma l’Università di Padova ci ha anche fornito la preparazione necessaria per sviluppare il progetto imprenditoriale, e mi riferisco al supporto ricevuto dall’Ufficio Valorizzazione della Ricerca. Un ringraziamento speciale va poi a tutte le colleghe e i colleghi del Dipartimento di Biologia che mi hanno assistito e aiutato.

Mi piacerebbe ora poter coinvolgere altri colleghi di altre discipline in grado di aiutarmi a sviluppare anche le parti più economico-gestionali del progetto. Vedo l’Università come una enorme risorsa dal punto di vista del capitale umano, abbiamo talenti di ogni tipo. Un altro importante strumento è UniSMART, che ci darà una mano per quei compiti al di fuori delle nostre competenze, come cercare altri investitori, soprattutto quando andremo a competere a livello nazionale col Piano Nazionale d’Innovazione.

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