Vibes srl, terza start up vincitrice del premio Start Cup Veneto 2022
Matteo Pozzi, CTO di Vibes srl, ci racconta com’è nata l’idea che li ha portati a vincere il terzo premio alla finale di Start Cup Veneto 2022
Ciao Matteo e grazie per l’intervista! Raccontaci qualcosa di te.
Io sono un ingegnere elettronico! mi presento così e questa è la mia grande passione, nata da piccolo quando smontavo le fotocopiatrici di mio papà e le macchinette telecomandate. Le smontavo per recuperare pezzi e assemblarli un po’ a caso; poi quando ho fatto esplodere un paio di cose, alla terza esplosione mi sono detto che fosse meglio studiare un po’.
E così ho cominciato a studiare in primis elettronica all’istituto Rossi, e poi ingegneria elettronica all’Università degli Studi di Padova.
Ho lavorato come dipendente per qualche azienda, e mi sono appassionato ai temi della Computer Vision e dell’intelligenza artificiale e ad un certo punto ho deciso di aprire la mia azienda di consulenza…e da qui è partito tutto il resto.
Qual è il tuo ruolo in Vibes srl?
In Vibes sono un consulente esterno…un po’ particolare. Nel senso che il progetto lo avevo nel cassetto da un po’ di tempo.
L’analisi delle vibrazioni è un tema che durante la mia attività di consulenza ho potuto affrontare e sono sempre rimasto stupito di tutte le cose che si possono fare solo sentendo le vibrazioni delle cose.
C’era questa idea da tirare fuori dal cassetto e, ad un certo punto della mia vita, c’è stata una congiunzione di pianeti tale per cui questa idea è uscita.
Abbiamo trovato i soci finanziatori e un bando della Regione Veneto che ha contribuito nell’investimento iniziale e così siamo partiti…e io sono rimasto consulente esterno.
Questo perché i soci e proprietari della start up sono i finanziatori.
In cosa consiste la vostra start-up?
Per farlo capire a tutti, faccio sempre questo esempio qua: quando si sta per rompere l’automobile, la maggior parte delle persone lo capisce dal rumore… e il rumore è vibrazioni.
Quindi noi abbiamo realizzato un sensore che analizzi le vibrazioni dei macchinari in maniera un po’ più raffinata rispetto al nostro orecchio e che riesce a capire cosa si sta rompendo e quando si romperà.
Questo sensore funziona con qualsiasi cosa vibri, quindi funziona per le automobili, per macchinari, per la lavatrice, per le infrastrutture come ponti e case.
Non escludiamo che in futuro si possa realizzare anche un sensore che analizzi le vibrazioni delle ossa, quindi per capire lo stato della cartilagine ad esempio.
A che punto di realizzazione siete con il progetto?
La start up è partita un anno e mezza fa circa.
In questo periodo abbiamo sviluppato dei prototipi di sensore, erano tre prototipi di accelerometro in uno.
Li abbiamo quindi installati nelle prime quattro o cinque aziende che ci stanno facendo da beta-tester, per capire cosa esattamente riusciamo ad analizzare.
Il grosso problema della intelligenza artificiale, è che ha bisogno di una grandissima quantità di dati per poter funzionare e funziona come noi. Noi facciamo l’esercizio di leggere le lettere cento volte, alla centunesima volta sappiamo leggerle.
Analogamente, anche l’intelligenza artificiale ha bisogno di cento guasti per poterli predire alla centunesima volta.
Deve imparare in qualche modo. Quindi ora stiamo facendo degli studi di fattibilità nelle aziende per trovare delle cose che anche senza intelligenza artificiale si riesce a rilevare subito. Per esempio un forte rumore, qualcosa che si riesca ad identificare da subito, per poi mettere dentro il sensore per uno e due anni in modo che il vero algoritmo di intelligenza artificiale funzioni regolarmente.
Siete stati uno di progetti vincitori della Start Cup Veneto, com’è stato arrivare in finale e ottenere la vittoria?
È stata una grandissima sorpresa!
Mi ricordo quando ci è arrivata la mail che diceva che eravamo tra le prime 20 start up selezionate, avevamo già festeggiato. Arrivare tra le prime venti in Veneto per noi era già un bel successo.
Poi ci è arrivata una seconda mail che ci annunciava che eravamo tra i primi 10…e poi in finale dove siamo arrivati terzi.
È stato super! Spesso nelle start up ci sono professori che presentano tecnologie molto avanzate e quindi essere inseriti tra questi è una bella sensazione.
Quindi voi siete un team di Alumni UniPd? Siete tutti dell’Università di Padova?
Quasi tutti, tranne Cesare Vicentini e Silvia Carrettiero, ma i programmatori sono tutti dell’Università degli Studi di Padova. Ci sono io che faccio un po’ da coordinatore, e poi ci sono tre ragazzi molto bravi di Matematica, Davide Pivato, Filippo Visentin e Luca Bergamin,.
Questo perché il cuore del progetto sono algoritmi; l’intelligenza artificiale è materia sia di ingegneria che di matematica.
Quindi abbiamo deciso di assumere questi tre ragazzi per lavorare al progetto…anche perché i programmatori sono merce rarissima. Nessuno sa che i matematici sono programmatori anche più bravi rispetto a quelli che studiano informatica…e non glielo diciamo a nessuno!
Ecco, il team è composto così per il momento.
Secondo te l’esperienza all’Università di Padova ti è servita nell’immaginare la tua professione e la tua start up?
Assolutamente sì. L’Università di Padova, così come l’Istituto Rossi, creano persone prima che tecnici.
All’istituto Rossi c’era un clima molto familiare, simile a quello che si respira in Svezia, diverso rispetto ad altre scuole.
Lo stesso per l’Università di Padova…credo che sia una grandissima scuola, soprattutto per la forma mentis.
Infatti i laureati a Padova hanno una forma mentis che copre tantissimi ambiti, non sono super verticalizzati, ma anzi riescono a spaziare e quindi avere quello che si chiama “pensiero laterale”.
E il pensiero scientifico è stato inventato a Padova, e ora è diffuso in tutto il mondo. Si vede che entrambi questi pensieri sono radicati nel nostro territorio e bisogna portare avanti questa cultura.
Poi il secondo nome del mio figlio più piccolo è Galileo…sono molto affezionato all’Università.
Sei anche CEO di Elevator Innovation Hub…ci puoi raccontare cos’è?
Quando me lo chiedono rispondo sempre che è un’enorme macchinetta per il caffè da 5.000 mq.
È il polo tecnologico di Vicenza, l’obiettivo è quello di dare un tetto comune a tutti gli innovatori e stiamo cercando di far mettere sede all’interno di Elevator tutte le persone più creative e lungimiranti della città.
Siamo partiti tre anni e mezzo fa, abbiamo avuto due anni e mezzo di Covid, ma nonostante questo abbiamo raccolto 35 realtà, di cui 7 sono start up innovative e due laboratori dell’Università di Padova, uno che fa droni e uno che si occupa di sicurezza alimentare.
Alla “macchinetta del caffè” nascono le idee e i progetti. Ci si supporta a vicenda perché l’innovazione ha bisogno di un aiuto.
Ti senti di consigliare qualcosa ai giovani che si stanno affacciando al mondo universitario?
Sicuramente consiglio di ascoltare sé stessi. Deve esserci equilibrio tra ascoltare consigli esterni e andare dritti per la propria strada, bisogna sempre conoscere, imparare e vedere ciò che ci sta intorno.
Però è anche vero che se hai un’idea lungimirante e stai pensando a qualcosa di nuovo, non ti devi aspettare che la maggior parte delle persone che ti circonda la capisca.
Quindi andare avanti convinti e scontrarsi contro grandi muri a volte serve. Consiglio di credere a quello che si fa anche se si ha tutti contro.
E se hanno un’idea di venire da te.
Sì! Esatto!
Così posso dare consigli davanti alla macchinetta del caffè.