
Cosa lega la scrittura e la musica? Qualsiasi aspetto della vita è una narrazione, sta a noi renderla avvincente: Valentina Confuorto
Valentina Confuorto, alumna in Musicologia all’Università di Padova ed ora insegnante di Storia della musica in Conservatorio, racconta la sua avventura tra scrittura, musica e monologhi.
Cosa ti ha avvicinata allo studio della Musicologia?
Avevo iniziato a studiare il pianoforte a otto anni e dalle scuole medie alla maturità ho frequentato il conservatorio di Napoli. Quello strumento così grande e imponente però non faceva per me e ho lasciato stare. Tre anni dopo, durante l’Erasmus in Germania (studiavo Lingue) ho comprato per caso un flauto dolce rosso trasparente, che sembrava quasi un giocattolo. Nelle istruzioni era indicato “diteggiatura barocca”. Mi sono chiesta: e che vorrà dire? In poco tempo mi si è aperto un mondo e due anni dopo mi sono iscritta di nuovo in conservatorio, ma a Padova. A quel punto desideravo approfondire lo studio delle arti e l’Università patavina era perfetta.
Che ricordi hai dell’Università di Padova? Quali insegnamenti di quegli anni porti con te oggi?
Avevo un entusiasmo incontenibile! Volevo studiare tutto, capire tutto, provare tutti i laboratori offerti. Mi sono ritrovata così a cantare gregoriano, partecipare a un cortometraggio, seguire i concerti del Concentus Musicus, collaborare con l’Orchestra di Padova e del Veneto, aiutare durante i convegni… Andavo ovunque in bicicletta – me ne hanno rubate due, poi ho comprato catene da moto – e dormivo forse poco. È stato faticoso, ma anche sorprendente. Non avrei detto che tra i miei corsi preferiti ce ne sarebbero stati uno di iconografia, uno di storia delle tradizioni popolari e un altro di cinema documentario. Oggi ho rallentato giocoforza, però mi è rimasta quella curiosità, conservo quest’approccio che lega più informazioni insieme e crea qualcosa di nuovo.
Dopo anni di studio di flauto dolce e di musicologia, hai lavorato in cinema e teatro, e ora ti occupi di scrittura creativa e insegni storia della musica in conservatorio: qual è il filo rosso che unisce tutte queste attività?
A sentirselo raccontare sembra quasi strano, eppure il fil rouge c’è. L’attività didattica è una sorta di spettacolo per un pubblico ridotto: bisogna non solo sapere di cosa si sta parlando, ma anche farlo arrivare, lanciando delle esche, attivare (oggi si direbbe triggerare) seminando dubbi e non solo fornendo risposte. Soprattutto, i miei studenti diventano prima o poi “attori”. Per la scrittura creativa faccio improvvisare i dialoghi tra i personaggi; con la storia della musica, invece, li guido ad ascoltare con spirito aperto. Cosa mi arriva da questa interpretazione? Come ha ottenuto questo effetto il compositore? Sono d’accordo con questo critico? Qualsiasi aspetto della vita in fondo è una narrazione. Sta a noi renderla avvincente.
Da poco è uscito il libro “Voci e vocalità nella cultura occidentale”, curato da te e da Cristina Miatello. Com’è nato questo volume e di cosa parla?
Due anni fa ho avuto il mio primo incarico come docente di storia della musica al conservatorio di Campobasso. Tra le materie che mi erano state assegnate figurava Fondamenti di storia della vocalità. E quindi cosa avrei dovuto insegnare esattamente? Ho subito chiamato Cristina, poiché era uno dei corsi che teneva anche lei al conservatorio di Venezia. Quando le ho chiesto su quale manuale basarmi, la risposta mi ha spiazzata: non ne esisteva nessuno. Dopo un po’, l’idea di curarne uno insieme ci ha entusiasmato. La materia però è vastissima e per padroneggiarla non erano sufficienti le nostre conoscenze. Come risolvere? Coinvolgendo esperte ed esperti dei diversi generi e delle varie epoche. Per il canto gregoriano è stato facile: avevo seguito il laboratorio di Massimo Bisson in università ed era stato bellissimo. Gli ho scritto e lui ha accettato con piacere di collaborare. Ancora adesso tiene il laboratorio di canto medievale, questo per dire come i secoli a volte non contano molto e il fascino della voce, l’atto di cantare insieme sono cose molto umane. Marco Bizzarini era stato uno dei miei professori e si è occupato di cantate barocche. Alessandra Petrina, che insegna letteratura inglese in università, ha ragionato sui rapporti di questa lingua con il canto. Anche Stefania Cerutti è un’alumna patavina e ha scritto sulla polifonia profana rinascimentale. Non posso raccontare di tutti gli incontri e i capitoli, poiché siamo in ventisei, tra autori e autrici, e i contributi spaziano dal Medioevo ai giorni nostri, includendo jazz, musical, rock, pop e musiche tradizionali. Dalla curatela ne sono uscita esausta ma arricchita, con vecchie amicizie rinnovate e nuovi incontri inattesi. E ho imparato moltissimo sul canto e la vocalità, con stupore e gratitudine.
A questo link il volume “Voci e vocalità nella cultura occidentale”.
“Si può vivere tre giorni senza acqua, sette senza cibo, ma nemmeno uno senza storie.” È una tua citazione, di quali storie ti cibi e perché sono una parte fondamentale della tua vita e della vita delle persone in generale?
In fondo ho un’anima pop: è una citazione dal fumetto Dylan Dog, che ho letto e riletto durante l’adolescenza. Se ci pensiamo è proprio così, siamo circondati da storie. Io sono una lettrice disordinata e non mi precludo nulla. Sparsi tra scrivania e comodino adesso ci sono: un libro di racconti di Tiziano Scarpa (“Cosa voglio da te”, l’ho adorato, penso che lo rileggerò subito), il fumetto Julia, il DVD de “Il casotto”, un giallo di Lucarelli, un manuale di archivistica e un saggio sulle neuroscienze e la scrittura. E sto ascoltando musica di Franz von Biber.
Quali sono le difficoltà e le soddisfazioni incontrate durante il tuo percorso?
Ho cambiato molti lavori e spesso la precarietà mi ha affaticata. Dopo momenti di sconforto, sono stata disponibile a ricostruire tutto, quando avrei potuto fare affidamento sulle piccole sicurezze conquistate. Qualche volta arriva la fatidica domanda “ma chi me lo ha fatto fare?”, poi però si creano relazioni, nascono nuovi progetti, arrivano mail di ringraziamento… e si capisce che ne è valsa la pena.
Quali sono i tuoi programmi per il futuro?
Al momento sto studiando per alcuni convegni, sempre sulla storia della vocalità, argomento che difficilmente abbandonerò. In autunno partirà il tour di promozione del libro e già mi chiedono quale sarà il prossimo. La verità è che non lo so. Voglio invece dedicarmi ad alcuni progetti drammaturgici, che ho lasciato un po’ da parte.
Quali step consigli di fare, ai giovani alumni, per intraprendere un percorso simile al tuo?
Me la sento di dare consigli per una ricerca bibliografica o per riscrivere una frase, ma consigli di vita, accidenti, è impegnativo. Quello che ho constatato è che seguire ciò che si ama, ciò che ci accende, a volte sembra non avere senso. Pare anzi un alibi, un modo per impiegare il tempo a discapito di attività più “serie e fruttifere”, magari spendendo soldi. Ebbene, investire in formazione non comporta mai una perdita. Prima o poi quello che si è appreso tornerà utile, e in maniera inaspettata farà anche guadagnare dei soldi. Magari sorridendo.