Mossuto Maria Francesca
Scientific Officer – AIRC- Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro | Aprile 2018
Dottorato di ricerca in Biochimica e Biotecnologie
Parlare con Maria Francesca Mossuto è come farsi travolgere da un’ondata di entusiasmo, qualità di chi nella vita coglie sempre il lato positivo. «Mi sono laureata in Biotecnologie farmaceutiche a Padova e sempre lì ho fatto il dottorato nello stesso campo. È stato proprio durante i primi due anni di dottorato che ho capito che volevo fare un’esperienza all’estero e così ho fatto». Maria Francesca entra infatti in uno dei laboratori più prestigiosi d’Europa, quello del dipartimento di Chimica dell’Università di Cambridge. «Per me è stato il punto di svolta, perché un ambiente stimolante come quello mi ha permesso di incontrare molte persone che lavoravano in un modo diverso dal mio, ma soprattutto mi ha aperto nuove prospettive». L’esperienza a Cambridge l’ha quindi spinta a lavorare nel campo della ricerca per molti anni. «Non importava che tu fossi l’ultimo arrivato o fossi lì da dieci anni, perché la tua idea valeva tanto quanto quella degli altri. Per esempio, potevi andare dal tuo responsabile per esporgli e discutere liberamente il tuo pensiero e questo ti suggeriva come migliorarlo oppure di lasciar perdere. C’erano molta libertà mentale e curiosità che nella mia esperienza non avevo ancora vissuto e tutto ciò mi affascinava».
Il segreto è essere curiosi
La curiosità è sicuramente una dote che contraddistingue Maria Francesca perché, sempre nel periodo in cui era a Cambridge, ha seguito anche molti corsi di soft skills come per esempio quelli di Grant Writing: «servono per imparare a scrivere un progetto scientifico che poi viene inviato a agenzie di finanziamento in risposta a bandi pubblici. Il mio capo di laboratorio lo faceva sempre e stando con lui mi sono interessata finché non è diventato un lavoro». Sono passati dieci anni dall’esperienza a Cambridge, ma ancora oggi ricorda l’approccio diverso al mondo del lavoro: «là – racconta – era normale seguire dei corsi diversi dal proprio campo di studio, come era normale che dopo il dottorato si facesse un altro tipo di lavoro. All’inizio la cosa mi ha sbalordita perché pensavo che dopo aver studiato tanto per il dottorato, fare un altro tipo di lavoro fosse una sconfitta anziché un’opportunità. Mi hanno sempre insegnato che se fai una laurea scientifica e un dottorato dovevi rimanere in quell’ambito, invece con questa esperienza ho compreso che non dovevo per forza fare solo quello. Il punto è che quando incontri e ti confronti con delle menti brillanti, è lì che ti rendi conto se sei portato o meno, perché ti metti in discussione. Il che non è una cosa negativa, anzi, è un’opportunità che ti fa scoprire anche dei lati nuovi di te stesso. Quindi a Cambridge ho fatto la mia scoperta personale: il fatto di poter fare benissimo ricerca, ma anche di potermi guardare attorno, di poter interagire con persone che avevano un dottorato, ma che facevano un lavoro diverso».
Da Cambridge a Milano
Dopo l’Inghilterra, Maria Francesca ha lavorato in Spagna dove ha comunque continuato a seguire molti corsi di soft skills. «Dopo l’esperienza a Barcellona – racconta – sono tornata a Milano perché quello che poi sarebbe diventato mio marito mi aspettava. Ho lavorato per due anni in un laboratorio prestigioso finché ho capito che le mie esigenze erano cambiate e che non volevo più fare ricerca. Ero più desiderosa di fare un lavoro d’ufficio, dove potevo staccare la mente appena uscita, e così ho fatto un concorso statale per l’Università di Milano per lavorare nel Grant Office. Si tratta dell’ufficio che aiuta i ricercatori a scrivere i progetti. Posso dire quindi che di tutti i corsi che avevo fatto prima mi sono tornati utili per aiutare gli altri ricercatori a scrivere dei progetti». Dopo due anni e mezzo nel Grant Office, Maria Francesca ha colto l’occasione di poter lavorare come Scientific Officer nel Peer Review Office di AIRC, l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, un lavoro che le permette di coniugare la sua esperienza scientifica e la sua familiarità con il processo di finanziamento alla ricerca. Il percorso intrapreso da Maria Francesca è stato dettato molto dall’istinto. «Ho sempre sognato di fare la ricercatrice, ma strada facendo ho capito che non era la direzione giusta. Il lavoro che sto facendo adesso, invece, rispecchia più le mie capacità ed esigenze, perché mi permette di gestire bene sia la vita lavorativa sia quella familiare».
Gli anni dell’Università a Padova: tante amicizie e una solida base di conoscenze
Tornando indietro negli anni, il ricordo più bello che Maria Francesca ha dell’Università di Padova sono le amicizie nate tra i banchi delle aule e i valori che le ha trasmesso. «A Padova ho conosciuto molte persone che vedo e sento ancora oggi, perché abbiamo creato una rete di amicizie resistente nel tempo. Non posso nemmeno dimenticare tutto quello che l’Università mi ha dato. Ho avuto infatti un’ottima formazione di base che mi ha resa consapevole delle cose che ho studiato, per cui quando sono andata all’estero ero molto sicura di me stessa e di quello che sapevo fare. Sono qualità molto apprezzate fuori dall’Italia, proprio perché i laureati italiani hanno un’ottima preparazione, sono veloci a imparare e non hanno paura di apprendere cose nuove. Oltre a questi valori, l’Università mi ha permesso di avere delle buone conoscenze, un buon metodo di studio e ad essere sempre curiosa. Sono fattori importanti nella vita, per questo consiglio ai giovani di vivere il presente, di appassionarsi a cosa stanno facendo e approfondirlo per farlo bene. Poi è anche importante parlare con tante persone, anche con quelle che apparentemente non hanno nulla a che fare con te, perché è solo in questo modo che la mente si apre. Mi porterò sempre nel cuore la metafora di un professore che mi disse che il ricercatore deve essere come un cavatappi, deve andare in profondità in quello che fa, ma deve anche girare a 360°».
24 Aprile 2018