Stivanello Mariano
Director R&D Lundbeck | Marzo 2018
Laurea in Chimica
Gli anni ’70 ed ‘80 sono stati un periodo delicato per la chimica italiana: scandali e incidenti (uno tra tutti l’ ICMESA a Seveso nel 1976) avevano indebolito la reputazione di questa disciplina. Una reputazione che ricade immediatamente sulle iscrizioni all’Università. A Padova, nel 1979, gli studenti iscritti al primo anno in Chimica e Chimica Industriale erano quasi ai minimi storici, una trentina soltanto. Fra questi Mariano Stivanello. «Il fatto di essere in pochi – ricorda – è stato in realtà una fortuna: eravamo un gruppo molto coeso e si creò un ottimo rapporto con i docenti. Ma questo non significa che fossero meno esigenti. Ricordo, per esempio, che il mio tutor di dottorato mi rispondeva talvolta a monosillabi. Non era affatto maleducazione o poca attenzione, ma il suo modo per stimolare in me la ricerca di risposte e di soluzioni ai problemi che si presentavano. Questo mi ha permesso di sviluppare autonomia di pensiero, caparbietà e grinta. Sono caratteristiche importanti, che talvolta mancano nei giovani d’oggi e che credo siano state instillate in me proprio nelle aule di chimica e negli internati di tesi».
Un ricercatore che parla il linguaggio dell’industria
La carriera di Stivanello, dalla laurea in Chimica nel 1984, si snoda fra ricerca e lavoro in azienda. È fra i primi a fare il dottorato in Scienze Chimiche, dal 1986 al 1988. La strada all’interno dell’Università è libera e promettente. Ma proprio all’inizio del 1989 riceve una proposta da un’azienda privata, la Fabbrica Italiana Sintetici (FIS). In poche ore Stivanello deve decidere il suo futuro: continuare nell’accademia o entrare nel privato? La scelta è di entrare nel mondo dell’industria, abbandonando quindi la carriera universitaria: primo di quei momenti che a lui piace definire “sliding door”. «Dai primi mesi del 1989, per 30 anni – commenta Stivanello – il mio percorso è stato sempre all’interno delle aziende, occupandomi di ricerca e sviluppo di processi nel settore chimico-farmaceutico. Prima in laboratorio, poi coordinando un team di ricercatori, fino a un profilo più internazionale a contatto con molte delle principali multinazionali del settore». È infatti a cavallo fra il 1993 e il 1994 quando FIS gli chiede di andare in USA per entrare in contatto con alcune multinazionali farmaceutiche alla ricerca di nuovi progetti. «Poi a Natale 1999 – ricorda Stivanello – c’è stata un’altra “sliding door”. Durante un colloquio per i consueti auguri di Natale mi viene proposto, piuttosto inaspettatamente, di diventare dirigente dell’azienda. Ed è così che dal 2000 al 2006 ho lavorato con incarichi sempre più importanti, da assistente al Direttore R&D fino a Director of Innovative Research, nome forse troppo altisonante, dove mi occupavo di studiare nuovi processi brevettabili e nuove tecnologie». Infine, ultimo step di carriera è l’entrata di Stivanello in Lundbeck, nel 2007, come Director R&D, dove attualmente coordina un gruppo di una ventina di persone.
La chimica “padovana”: un’eccellenza accademica e industriale
Il suo percorso professionale in ambito R&D ha permesso a Stivanello di coordinare e seguire molti giovani neo laureati e dottorati. Questo punto di osservazione particolare permette di mettere in luce alcuni punti importanti per chi desidera lavorare nel settore. «I laureati a Padova – sottolinea Stivanello – sono molto preparati, oggi come in passato. La facoltà di Chimica è sempre stata un’eccellenza, che anche quando facevo il dottorato, attirava giovani ricercatori e dottorandi soprattutto da Inghilterra e Irlanda. Forse quello che manca oggi a livello di competenze è un’efficace esperienza di laboratorio, ma i giovani che in 30 anni di carriera ho avuto modo di seguire, avevano tutti un buon bagaglio di conoscenze».
Do’s e Don’ts per il lavoro in azienda
Un discorso diverso è quello che riguarda quali sono gli approcci e, in modo speculare, gli errori da evitare per costruire un percorso professionale positivo. «La mia esperienza professionale – commenta Stivanello – mi ha insegnato che l’inglese, l’ho vissuto sulla mia pelle, è essenziale. Per cui un’esperienza all’estero, che io purtroppo non ho mai avuto modo di fare per svariati motivi, non necessariamente in ambito chimico, anche semplicemente per qualche lavoretto estivo, è fondamentale. Inoltre, a prescindere da titoli e diplomi, quando si entra in azienda ci vuole molta umiltà, si deve praticamente ripartire da zero, e rimettersi nell’ottica di dover imparare il ‘lavoro’. Infine, sin dai primi anni in azienda, ho visto quanto sia importante imparare a lavorare in team, soprattutto nelle aziende più moderne e di respiro internazionale: è fondamentale sapersi interfacciare con esperienze, competenze e caratteri diversi, quindi bisogna trovare il giusto equilibrio fra la propria autostima e il saper ascoltare gli altri».
Un canale sempre aperto fra Università e aziende
E cosa sarebbe stato se a fine anni ’80 Stivanello avesse scelto la carriera universitaria? «È una domanda che talvolta mi pongo, all’epoca questa mia scelta piuttosto improvvisa e per certi versi inaspettata, aveva lasciato scompiglio, ma diede anche l’opportunità a un mio amico compagno di tesi di compiere una brillante carriera accademica, ancora una “sliding door”. Ad ogni modo, non ho mai chiuso i rapporti con l’Università. Ho ottimi rapporti con molti professori, alcuni sono miei ex-compagni di corso ed in questi 30 anni di carriera in azienda ho ospitato numerosi laureandi, dottorandi o stagisti post laurea in Chimica, Chimica Industriale e Chimica e Tecnologie Farmaceutiche. Credo che la sinergia fra Università e mondo industriale sia senza dubbio positiva, ma che debba ancora crescere e migliorare ed in questo l’Associazione Alumni può fare molto. Certo in Italia può essere complesso, soprattutto nel nostro Nord Est dove tante imprese sono piccole e a gestione familiare, ma “esportare” in azienda i nostri laureati, farne conoscere il valore è un obiettivo ambizioso per Alumni».
29 Marzo 2018