“La gravidanza è qualcosa di semplice e naturale. In Etiopia ho riscoperto l’antico mestiere dell’ostetrica.” Intervista a Chiara Spolverato, vincitrice 2021 del Premio ‘Irma Battistuzzi’.
Mi piace immaginare noi ostetriche come compagne di viaggio delle madri e dei loro bambini. La gravidanza e il parto sono fenomeni naturali: i corpi della madre e del bambino sanno già cosa fare e come comportarsi. L’ostetrica aiuta e supporta, non ha ausili particolari se non i cinque sensi: usa la voce per comunicare con la donna e guidarla; l’udito, la vista e il tatto per valutare come procedere il travaglio ed agevolare l’uscita del neonato.
L’esperienza in Etiopia con Medici per l’Africa Cuamm mi ha permesso di tornare alle origini e di sperimentare una gestione del travaglio meno supportata dalla tecnologia e più manuale. Una sorta di ostetricia all’antica maniera, un tuffo in un passato per noi quasi dimenticato.
Per ovvie ragioni, nell’ospedale in cui mi trovavo mancavano tanti strumenti che nelle sale parto degli ospedali italiani sono invece la norma. Da noi il battito cardiaco fetale e le contrazioni uterine sono monitorati di continuo grazie a un dispositivo elettronico detto cardiotocografo; a Wolisso utilizzavamo uno lo stetoscopio di Pinard in legno per rilevare la frequenza cardiaca del feto, mentre per registrare le contrazioni un sanitario dell’equipe appoggiava la propria mano sul ventre della donna per dieci minuti e ne contava frequenza e durata. Non c’era sempre un ginecologo disponibile poiché, in tutto l’ospedale, lavorava un solo specialista, che ovviamente era presente solo in determinati giorni, e su turni. Il reparto di maternità era spesso pieno ed eravamo costretti a spostare alcune neomamme nel vicino settore di ortopedia.
Eppure, il reparto funzionava con efficienza e il team di lavoro era composto da professionisti molto capaci, in un clima di grande armonia e collaborazione. Qualcuno potrebbe spaventarsi a leggere di un reparto gestito con questi limiti, ma va ricordato che il travaglio fisiologico è qualcosa di semplice e naturale, che segue un proprio decorso lineare, molto meno spaventoso di ciò che la televisione ci ha abituati a immagiare.
Proprio al tema delle gravidanze fisiologiche ho dedicato la mia tesi di laurea: ho approfondito il percorso “BRO” (basso rischio ostetrico), in cui le donne con gravidanza non complicata sono seguite in autonomia da un’ostetrica fino al parto. Nel “BRO” il medico è presente solo in alcuni momenti chiave: la prima visita ginecologica, o le indagini diagnostiche, ma la donna viene seguita prevalentemente dall’ostetrica.
In Italia, l’offerta di percorsi assistenziali come quello “BRO” è ancora molto limitata. Lo stesso Ministero della Salute riconosce che nel tempo si è diffuso nel nostro Paese (come in altri Paesi industrializzati) “un approccio a volte eccessivamente medicalizzato al percorso gravidanza, travaglio, parto e nascita”.
In Africa ho avuto modo, nel corso dei due mesi di tirocinio professionale, di mettermi alla prova in un contesto nuovo e di acquisire competenze pratiche che mi torneranno molto utili per il mio lavoro. È stata un’esperienza unica, incredibilmente formativa, e di questa opportunità sono grata alla famiglia Benedetti, alle Associazioni Alumni e Amici dell’Università degli Studi di Padova, all’Associazione Medici con l’Africa Cuamm e all’Unità Operativa Clinica Ginecologica e Ostetrica del Dipartimento di Salute della Donna e del Bambino.
All’inizio ero ovviamente un po’ spaventata e mi ci è voluta qualche settimana per ambientarmi e anche per conquistare la fiducia dell’equipe di sanitari ma, quando è stato il momento di tornare, se avessi potuto mi sarei fermata ancora un po’ a Wolisso.
Raccomando questa esperienza a tutte le ostetriche neolaureate che hanno voglia di mettersi in gioco e fare un’esperienza che, al di fuori di un ambiente protetto come quello del tirocinio con Medici per l’Africa Cuamm, sarebbe molto difficile fare.