«Dal latte, estraggo molecole per prevenire le malattie croniche. La dieta è davvero la prima medicina». Intervista a Federica Tonolo, vincitrice della Menzione Speciale del premio di studio intitolato alla prima donna laureata al mondo (IV edizione)

15 Luglio 2022 Associazione Alumni_admin Categories Interbiste Scienze, news

Federica Tonolo, classe 1992, laureata a Padova in Biologia Sanitaria (2016), ha vinto con la propria tesi di dottorato “Antioxidant food-derived bioactive peptides: evalutation of their molecular mechanism in human cells.” la Menzione Speciale prevista dal bando di concorso per l’assegnazione del premio di studio intitolato a “Elena Lucrezia Cornaro Piscopia Università di Padova”. Federica si racconta ad Alumni e lo fa con grande orgoglio e passione verso la propria ricerca e il proprio team di lavoro.


Buongiorno Federica – e ancora congratulazioni per questo importante riconoscimento. Vorresti spiegare ai nostri lettori e lettrici in cosa consiste il tuo lavoro di ricerca?

Grazie a voi per questa opportunità! Il mio lavoro è incentrato sulle proprietà antiossidanti di alcune molecole derivanti dagli alimenti.

I peptidi bioattivi sono piccoli frammenti di proteine, uno dei nutrienti fondamentali del cibo che mangiamo. I peptidi sono molecole molto variegate, e hanno strutture che danno loro moltissime proprietà diverse: a seconda dei mattoncini fondamentali con cui sono composte, possono esprimere vari effetti sul nostro corpo – da cui il termine bioattivi, ovvero aventi effetto sui nostri processi corporei e sulla nostra salute.

Durante la fermentazione di un alimento i microrganismi “lavorano” le proteine presenti nel cibo con i propri enzimi: favorendo il rilascio di alcuni pezzetti delle proteine (peptidi) che diventano quindi “liberi” di interagire, per esempio, con le cellule del tratto gastro-intestinale. I miei studi sono focalizzati sulla capacità di questi peptidi, ricavati dal latte e soia fermentati, di svolgere funzioni antiossidanti sulle cellule umane.

Quando dico “latte fermentato”, intendo qualcosa di molto simile allo yogurt: semplicemente, lo yogurt che troviamo in commercio è arricchito con due specifici ceppi di fermenti lattici; quando invece le tipologie di agenti fermentanti sono diverse questi due ceppi o più numerose, si parla di latte fermentato. Ciò non toglie, ovviamente, che questo tipo di peptidi possa in ultima istanza essere ricavato anche da altri componenti della nostra dieta, come carne, legumi o verdura.

Come impiegate questi peptidi presenti nel latte? In cosa consiste il tuo lavoro in laboratorio?

Il nostro gruppo di ricerca ha delle collaborazioni con alcune imprese agroalimentari, che ci forniscono il latte già fermentato nel corso dei loro processi industriali. A questo punto, in laboratorio andiamo a recuperare questa molteplicità di peptidi presenti nel latte e ne testiamo su alcune cellule umane in coltura le effettive proprietà antiossidanti.

Una volta appurate queste proprietà, analizziamo la sequenza dei singoli peptidi presenti nel latte così da poter sintetizzare in collaborazione con un altro laboratorio del nostro dipartimento quantità maggiori di ognuno di essi, e vagliarne così le specifiche proprietà, nonché metterli a confronto fra di loro.

Il latte fermentato che assumiamo con la nostra alimentazione non avrebbe di per sé proprietà antiossidanti analoghe a quelle che siamo in grado di produrre in laboratorio: i peptidi presenti in esso con la capacità di innescare la giusta via di segnale a livello molecolare sono solamente una frazione minima delle tante molecole. Ovviamente, ciò non toglie che l’intero pool di sostanze presenti nel latte possa avere un qualche effetto antiossidante, considerando i polifenoli e altre molecole che gli erbivori assumono con la dieta.

Così procedendo, il mio gruppo di ricerca ha identificato circa un centinaio di peptidi: ho testato sulle cellule umane in vitro le proprietà di ciascuno, individuando quelli maggiormente efficaci; ma ho anche – e qui sta il lavoro prettamente innovativo del mio gruppo – individuato lo specifico meccanismo molecolari d’azione: quando il peptide interagisce con le nostre cellule, sappiamo non solo se svolge una funzione antiossidante, ma anche come e perché. L’alimento in sé, infatti, non ci avrebbe permesso questa analisi precisa dei meccanismi.

La menzione speciale ti è stata riconosciuta non solo per il potenziale innovativo del tuo studio – nello specifico la mappatura di cascate di segnali chimici con effetto antiossidante –, ma anche per le ricadute applicative nell’ambito della nutrizione e della salute umana.

La mia speranza è che queste molecole da noi isolate possano essere utilizzate come ingredienti di alimenti funzionali, ovvero alimenti che oltre alle loro proprietà nutrizionali di base presentano molecole bioattive che agiscono positivamente su una o più funzioni fisiologiche– come il “golden milk” o gli yogurt arricchiti con steroli vegetali.

Questi alimenti funzionali, se non dei veri e propri nutraceutici basati sui peptidi bioattivi, possono svolgere un’importante azione preventiva. Se infatti siamo abituati a concepire l’azione antiossidante e quindi il contrasto dei radicali liberi come un “meccanismo anti-invecchiamento”, è anche vero che stati di sbilanciamento redox in combinazione allo stato infiammatorio sono all’origine di gran parte delle malattie croniche, come patologie cardiovascolari e diabete. Includere nella dieta alimenti arricchiti e integratori basati su peptidi antiossidanti potrebbe quindi prevenire questo tipo di patologie.

Per quanto riguarda applicazioni terapeutiche, invece, bisogna essere molto più cauti: l’uso di peptidi bioattivi in condizioni patologiche potrebbe funzionare in sinergia, non certo in sostituzione al classico trattamento – e a patto di bilanciare adeguatamente gli equilibri molecolari con posologie ragionate ad hoc.

In ogni caso, la nostra dieta è la nostra prima medicina, e va considerata anche nelle condizioni patologiche.

Lungo il percorso di dottorato, durante un periodo di scambio con l’Università delle Isole Baleari, ho approfondito proprio questo aspetto più clinico, indagando come lo stress ossidativo in persone con sindrome metabolica potesse essere alleviato seguendo la nostra dieta mediterranea.

Questa consapevolezza dell’importanza della dieta e la volontà di accrescere le conoscenze scientifiche al riguardo è proprio alla base della decisione di Solgar Italia di sostenere l’istituzione di questo Premio, consapevolezza di cui ti sei fatta interprete con le tue ricerche. Progetti di continuare la tua carriera nello studio delle molecole di origine alimentare?

In effetti, i miei primi progetti professionali, quando mi iscrissi a Biologia Molecolare in triennale e a Biologia Sanitaria alla magistrale, erano proprio di diventare una biologa nutrizionista e svolgere consulenza per tutelare la salute delle persone.

Il mio incontro rivoluzionario con la ricerca di laboratorio è stato per il mio progetto di tesi magistrale: ho trovato un gruppo di lavoro talmente affiatato e accogliente, e una responsabile così tanto capace di indirizzarci e valorizzare competenze e successi di tutti, che ho finito per appassionarmi e amare questo lavoro. Lavoro che mi permette comunque di continuare ad approfondire l’alimentazione, le molecole bioattive presenti nel cibo e il loro ruolo nel mantenimento e nella tutela della salute.

Con un successivo periodo da assegnista – grazie a dei finanziamenti del Fondo Sociale Europeo (FSE) e dalla Regione Veneto – ho compreso in definitiva che la ricerca era la mia strada, intraprendendo il percorso di dottorato, la cui tesi finale mi è valsa la menzione speciale a questo Premio. Adesso lavoro da 2 anni in Post-Doc e spero di poter portare avanti questa linea di ricerca.

La tua carriera finora è stata certamente brillante: negli ultimi 4 anni hai vinto ben 5 Premi legati alla ricerca… sei, contando anche il nostro! Qual è il segreto per una carriera di successo in questo campo?

Sicuramente la passione: può sembrare banale, ma in un lavoro impegnativo come quello della ricercatrice, l’amore per il proprio lavoro è fondamentale per mantenere impegno e dedizione costanti. Ciononostante, ammetto che la passione e l’impegno individuali non sono l’unico ingrediente: serve sempre un po’ di fortuna.

Per me, la fortuna è stata trovare degli ottimi colleghi – con cui ci stimoliamo a vicenda – e una responsabile sempre pronta a credere nel mio lavoro e nel promuoverlo nella comunità scientifica. Pur avendo conseguito diversi risultati, l’approvazione degli altri non è per me sempre così importante: posso contare ogni giorno su una team che crede in quello che faccio e che facciamo.

Quello del ricercatore e della ricercatrice è un lavoro di squadra!

 

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