«Disparità di genere, colonialismo e degradazione ambientale sono facce della stessa medaglia»: intervista a Chiara Xausa, vincitrice della IV edizione del Premio previsto dal bando intitolato a “Elena Lucrezia Cornaro Piscopia Università di Padova”

25 Luglio 2022 Associazione Alumni_admin Categories Interviste Scienze Umane, news

Chiara Xausa, Alumna di Filologia Moderna dell’Università di Padova, dottoressa di ricerca in Traduzione, Interpretazione, Interculturalità all’Università di Bologna, è stata insignita della IV edizione del Premio previsto dal Bando di intitolato a "Elena Lucrezia Cornaro Piscopia Università degli Studi di Padova".


Buongiorno Chiara, e congratulazioni per questo riconoscimento. Il tuo elaborato Feminist Environmental Humanities: Threading Theory and Speculative Fiction è stato giudicato un esempio meritevole di reinterpretazione dei saperi attraverso la lente del genere: quale percorso ti ha avvicinata a queste tematiche?

Pur avendo frequentato il liceo scientifico, dopo la maturità il mio desiderio di approfondire gli studi umanistici mi ha portato alla scelta in controtendenza, rispetto ai miei compagni e compagne di classe, di iscrivermi a lettere moderne.

Il mio incontro con il femminismo e gli studi di genere in Università, invece, è avvenuto molto presto: in un corso di storia della lingua abbiamo esplorato il tema del sessismo linguistico, che ho scelto di approfondire in tesi triennale.

Più mi addentravo in questo mondo, più capivo di voler rinnovare i saperi con cui venivo a contatto in un’ottica femminista: come si approcciavano gli studi umanistici alla questione del genere? Le università dei Paesi anglosassoni e nordici sono la punta di diamante per la teoria sul tema, per cui ho svolto diversi periodi all’estero, prima con l’Erasmus in Inghilterra, poi con un Master interateneo sugli Studi di Genere fra Bologna e Utrecht.

Ho scoperto così nuove teorie all’interno del pensiero femminista, fra cui la corrente post-umana ed ecologista, e ho deciso così di presentare un progetto di dottorato su femminismo e cambiamenti climatici.

Giornata di conferimento del Premio all'appuntamento annuale "Una giornata con Elena". Da sinistra a destra: Stefania Zattarin, Giada Caudullo, Annalisa Oboe, Chiara Zausa, Anne Maass, Beatrice De Bacco.
Cosa sono queste Environmental Humanities che compaiono nel tuo elaborato?

L’approccio delle scienze umane ambientali ha avuto uno sviluppo recente - parliamo degli ultimi 20 anni - e si propone di creare ponti tra discipline differenti, nella convinzione che la crisi climatica in cui ci troviamo non possa essere affrontata e risolta da singoli contributi settoriali, ma dal dialogo di tutti i saperi.

Le crisi, infatti, sono fra loro collegate e intersecate: quando parliamo di cambiamento climatico, è inevitabile parlare anche di crisi sociale, economica, politica, culturale. Poiché servono strumenti per intervenire sulla globalità del problema, si cerca di conciliare le cosiddette scienze dure – ingegneria, climatologia, biotecnologie, ecc. – con le scienze umane e le scienze sociali: solo così si possono ottenere risposte all’altezza degli interrogativi del mondo contemporaneo.

Ovviamente, porre in dialogo le scienze dure con le scienze umane è molto più complesso che porle in relazione con le scienze sociali, con le quali condividono molte metodologie - ma non è impossibile: la natura e la sua degradazione, l’ambiente e la sua trasformazione, il cambiamento climatico e l’impatto antropico sono stati e sono sempre più oggetto di testi letterari e l’ecologia letteraria o ecocritica analizza proprio queste opere.

Nel mio lavoro analizzo la climate fiction o fantascienza climatica, nella quale romanzi, film fumetti e altre opere affrontano il tema del cambiamento climatico quale conseguenza dall’azione umana.

Perché nei tuoi lavori parli di “decolonizzare” la fantascienza climatica?

La maggior parte delle opere climate fiction è scritta in Europa o Nord America e ha quindi una prospettiva molto “bianca” alla crisi climatica: le esperienze della crisi che vengono riportare in narrativa sono calate e trovano senso in società ed economie tipiche di questo angolo di mondo.

Esistono invece aree del mondo in cui la crisi climatica viene vissuta in modo totalmente diverso, sia per il tipo di forma mentis che orienta le persone che ci vivono, sia per il tipo di esperienze concrete che esse affrontano tutti i giorni.

Per esempio… tra i romanzi di cui mi sono occupata, ce n’è uno di un’autrice aborigena australiana dal quale emerge che anche la natura ha una propria vitalità: l’esperienza dalla natura è un’esperienza quasi interpersonale, con un “chi”, non con un “cosa”. In questa cornice di senso, senza banalizzare, il cambiamento climatico e la violenza verso la natura vengono vissute in modo diverso.

Dall’altro, per le popolazioni aborigene e native l’esperienza dalla natura ha una storia di esproprio delle proprie terre da parte dei colonizzatori, che con esse e con lo sfruttamento di esse si sono arricchiti, per cui le rivendicazioni ambientaliste si legano a rivendicazioni sociali, economiche, anti-razziste. Come dicevo, le diverse crisi sono collegate.

Anche a livello di testi letterari occorre uscire dal cosiddetto “canone bianco e maschile” e includere opere che narrino il cambiamento climatico con punti di vista e prospettive diverse e irriducibili: solo così ne avremo una visione completa e conosceremo il problema in tutte le sue sfumature e sfaccettature, per pensare a soluzioni altrimenti non pensabili.

In questo senso, le scienze umane ambientali e un approccio “decoloniale” alla fantascienza climatica ben si prestano a una lettura femminista?

Occorre dire, come premessa, che molta parte del pensiero femminista si occupa di ambiente, ecologia e crisi climatica: le stesse scienze umane ambientali si sono sviluppate anche grazie alle teorie femministe pre-esistenti.

Ciò è dovuto a due aspetti: in primo luogo, le donne hanno una vulnerabilità maggiore rispetto agli uomini alle conseguenze della crisi climatica; per esempio, le donne costituiscono l’80% degli sfollati per disastri naturali, e hanno una probabilità 14 volte superiore agli uomini di rimanerne vittima.

Dall’altro, in molte culture, fra cui la nostra, esiste un’associazione millenaria fra donna e natura, e le aspettative nutrite verso le donne nei confronti dell’ambiente sono diverse: i prodotti ecocompatibili sono brandizzati “per donne”, la cura del pianeta è concepito come “cura della casa comune” e quindi come lavoro domestico femminile.

Il femminismo ha a lungo riflettuto su questo, evidenziando come la subalternità delle donne, il colonialismo e la degradazione ambientale siano facce della stessa medaglia, manifestazioni dello stesso approccio a dualismi gerarchici: gli uomini dominano le donne, i colonizzatori occidentali dominano i colonizzati, l’uomo domina le specie non umane.

Dalla teoria è emersa la volontà di sradicare questi dualismi fatti di prevaricazione, di smettere di considerare l’ambiente e il non-umano come oggetto di dominio da parte dell’uomo, ma anche di scomporre l’equazione donna = natura, permettendo a chiunque di riconoscersi in un approccio rispettoso dell’ambiente a prescindere dal proprio genere.

E quale è stato questo contributo non bianco e non maschile alla narrazione letteraria del riscaldamento globale? Cosa emerge da queste prospettive “periferiche” sulla degradazione ambientale e sul contrasto del cambiamento climatico?

I lavori che ho analizzato sono le opere di Alexis Wright, scrittrice aborigena australiana autrice di Carpentaria e The Swan Book, di Nnedi Okorafor, scrittrice nigeriana-americana autrice di Lagoon, di N. K. Jemisin, scrittrice afroamericana autrice della Trilogia della Terra Spezzata, e di Larissa Lai, scrittrice canadese-cinese autrice di The Tiger Flu.

Da sinistra a destra: Alexis Wright, Nnedi Okorafor, N. K. Jemisin, Larissa Lai.

In queste opere emergono chiaramente degli elementi di diversità da cui possiamo imparare molto per rimodulare il nostro approccio alla crisi climatica: la vera protagonista è la collettività anche quando c’è il focus su uno o alcuni personaggi. Una collettività che collabora alla soluzione, non uno scienziato che con il sapere tecnico piega la natura “impazzita” ai propri bisogni e ricostruisce un ordine antropocentrico.

Le soluzioni proposte non sono solo salvifiche per la sola specie umana, ma anche per altre specie animali e vegetali che vivono sul pianeta come noi. Soluzioni di convivenza armonica, che non discriminano fra umano e non umano, ma neanche fra ricco e povero, bianco e nero, uomo e donna.

Grazie Chiara per aver condiviso con il nostro pubblico il tuo ampio lavoro e le sue implicazioni e prospettive. Continuerai a fare ricerca in quest’ambito? Cosa ti aspetta per il futuro?

Oltre al mio lavoro di dottorato, ho collaborato con alcune ricercatrici e ricercatori su progetti collaterali – per esempio, per tornare al sessismo linguistico, l’uso del genere grammaticale da parte dei traduttori automatici e delle intelligenze artificiali.

Il mio desiderio è di proseguire con la ricerca, e nello specifico di continuare a riesplorare i saperi già citati, come la letteratura, alla luce del genere. Anche se l’ambito degli Studi di Genere è un ambito difficile, specialmente in Italia, dove trova molto poco spazio.

Per questo sono molto felice dell’esistenza di questo Premio e delle scelte lungimiranti dell’Ateneo di Padova: un Premio che non solo celebra la figura di Elena Cornaro, ma che inventiva e aiuta chi è all’inizio dei propri studi ad avere uno sguardo di genere sui saperi accademici.


È pubblica la V edizione del Premio istituito dal Centro di Ateneo “Elena Cornaro” per i saperi, le culture e le politiche di genere, in collaborazione con l’Ateneo di Padova, l’Associazione Alumni dell’Università degli Studi di Padova, l’Associazione degli Amici dell’Università di Padova e con il sostegno di Solgar Italia Multinutrient SpA, per favorire e premiare i lavori di ricerca che ricostruiscano la storia dei saperi, della ricerca e della didattica in cui le donne si sono impegnate nel tempo, individuando o dando risalto al contributo autorevole di figure femminili, proponendo nuovi studi sulle differenze/disparità di genere rilevabili nei vari ambiti scientifico­ disciplinari, offrendo interventi che riguardano i saperi scientifici e umanisti da una prospettiva femminista o degli studi di genere.

Bando di concorso per l’assegnazione del premio di studio intitolato a “Elena Lucrezia Cornaro Piscopia Università degli Studi di Padova”

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