Francesco Grani, da Ingegneria Civile all’Intelligenza Artificiale

27 Gennaio 2023 Associazione Alumni_admin Categories Interviste Ingegneria, news

Francesco Grani, classe 1979, Ingegnere Civile, Dottorato in Scienze Forestali, Diploma in Musica Elettronica, ExecutiveMBA. Da undici anni residente estero, gli ultimi cinque a Berlino.

Ciao Francesco e grazie per questa intervista.. raccontaci una curiosità su di te!

Una curiosità’ su di me… sono appassionato di aeroplani, ma le ambizioni che avevo da giovane di entrare in accademia aeronautica non sono mai decollate!

Mi sono rifatto un paio d’anni fa imparando a pilotare ultraleggeri. 

Cosa ti ricordi del periodo all’Università di Padova e cosa ti ha lasciato in termini di valori?

Ho molti ricordi dell’Università’ di Padova.

Ricordo l’eccitazione del giorno di immatricolazione, che nel ’98 si faceva in uno stabile in zona fiera: tornare a casa con la mia bicicletta scassata nel caldo dell’estate padovana, e con un badge nello zaino e un numero di matricola freschi freschi… mi sentivo eccitato dall’ignoto: capivo che iniziava un percorso che mi avrebbe portato lontano, ma non sapevo identificare “dove” mi avrebbe portato o cosa sarebbe stato il passo successivo. Questa tensione mi dava molta energia.  

Ricordo anche la doccia fredda del primo pomeriggio di lezione. Settembre, dopo pranzo, in P300 al Paolotti: i miei cinque anni di studi di matematica delle scuole superiori spazzati via in due ore, come dei sassolini, dall’impatto con Analisi I. 

Ai miei genitori dissi: “vediamo come va la prima settimana, forse mi ritiro”. Queste esperienze mi fanno sorridere ora, ma ricordo quanto mi sentissi perso all’epoca. 

Ad aiutarmi furono due cose: da un lato lo spirito e la capacità di coinvolgere la classe del docente di Analisi I (E. Gonzales) di cui ancora ho un caro ricordo; dall’altro chiaramente i miei compagni: circondarmi di compagni di studio più bravi di me, mi ha aiutato a migliorare come studiavo e a sviluppare più fiducia nelle mie capacità.

Questo è un valore che è rimasto poi sempre con me: il team è tutto. È importante circondarsi di persone che positivamente ci stimolano, e non aver paura di circondarsi di persone “più’ brave di noi”, perché è cosi che si migliora. 

L’Università mi ha anche insegnato ad essere più curioso di quanto già non fossi e a mettere continuamente in dubbio le mie conoscenze e assunzioni

Non penso sia umiltà, quanto piuttosto la genuina curiosità di mettere in discussione le proprie idee, per vedere se resistono attraverso punti di vista diversi dai propri, e se non resistono, perché. 

In questo senso la scuola di dottorato è stata una grande esperienza per imparare a cercare attivamente la critica costruttiva, il contraddittorio. 

Anche in questo caso, è necessario stabilire un ambiente di rispetto e fiducia all’interno del team in cui si lavora. L’esempio è tutto, e anche qui devo ringraziare chi ha creato queste situazioni e mi ha permesso di capirne l’importanza (il caro prof. T. Anfodillo, in questo caso). 

Definisci il tuo percorso da Alumnus “non lineare” … Ci puoi raccontare in che termini e cosa ha significato per te?

Il mio percorso è “non lineare” nel senso che non segue ciò che ci si aspetterebbe accada secondo una logica lineare o sequenziale

Se studi Ingegneria Civile, farai l’ingegnere civile. Se studi Forestale, ti occuperai di piante. Se inizi una carriera accademica, proseguirai una carriera accademica. E così via. 

Negli studi e nella carriera ho sempre cercato e seguito l’opportunità che mi sembrava di volta in volta più curiosa e interessante, a prescindere se il mio CV fittasse al 100% o meno. 

Questo ha significato spesso trovarmi ad essere all’interno di un team quella persona che aveva un solido expertise in un settore “A” ed era chiamata a spendere le proprie competenze su un altro settore “B”. 

Superate le prime difficolta’ di adattamento, che ci sono sempre, e le proprie vocine interne che dicono di continuo “ma questo non lo sai fare”, essere in questa posizione è in verità molto arricchente, perché permette di continuare ad ampliare le proprie esperienze e di mettere nel proprio CV conoscenze sul modo in cui operano settori anche molto lontani tra loro.

L’importante è avere un metodo e un proprio “fil rouge”, anche quando questo non è apparente. 

Nel mio caso il fil rouge è il software: ho iniziato a programmare attorno agli otto-dieci anni, sul Ti-99A di mio papà, e la fascinazione di avere di fronte un sistema che reagiva a istruzioni e comandi che io come umano davo in input non mi ha più lasciato. 

Oggi lavori per Meta… qual è il tuo ruolo?

A Meta mi occupo di AR Glasses. Sono un product manager nel gruppo noto come ‘Reality Labs’.

Come si svolge una tua giornata di lavoro “tipo”?

Non c’è una vera giornata tipo.

Il ruolo del PM è spesso descritto come quello di un “mini CEO”, e questo banalmente significa che si è responsabili a 360 gradi per il destino di un prodotto. Specialmente nello spazio in cui si opera in Reality Labs, dove costruiamo prodotti per mercati e scopi futuri, questo significa dover indossare molti diversi cappelli ogni giorno. 

Si passa da giornate o periodi in cui c’è più lavoro su strategy per il proprio prodotto, o per il gruppo di prodotti di cui si fa parte, a giornate e periodi in cui si è “heads down” ad assicurarsi che mille aspetti siano sicuri per un lancio, come ad esempio i molti e importantissimi requirements per privacy, legal, etc. 

In parallelo, si tiene sempre sotto controllo il polso del team di sviluppo, per assicurarsi che non ci siano blocchi da risolvere, o che qualora ci siano, si riesca a trovare le risorse necessarie per il team per continuare. 

È un lavoro fatto molto di comunicazione e di capacità di interagire con gli altri. Si tratta di assicurarsi che il proprio team possa navigare situazioni ambigue e scenari ricchi di dipendenze esterne, che quindi vanno a definirsi man mano che si prosegue, milestone dopo milestone. 

Senti di aver raggiunto i tuoi obiettivi o hai qualche sogno nel cassetto per i prossimi anni?

No, non credo ci si senta mai “arrivati” nella vita, si va incontro ai propri obiettivi per avere una spinta avanti, ma prima o poi arriva sempre l’opportunità diversa o la curiosità di iniziare qualcos’altro. 

Sogno nel cassetto: al momento sto lavorando con un gruppo di amici ad un progetto di digitalizzazione nel settore legale. È poco più di un esercizio mentale per ora, ma vedremo come va. 

L’imprenditorialità mi affascina e non escludo nei prossimi anni di spostarmi in quella direzione, se c’è il giusto team.

Che consiglio ti sentiresti di dare ai giovani che si vogliono affacciare al mondo del lavoro?

In generale, a prescindere dal mondo del lavoro, cercate di contornarvi di persone brave, magari se possibile più brave di voi. 

Non e’ facile mettere da parte la propria sensazione di voler essere “quelli bravi”, e confrontarsi con chi invece ci fa fare un po’ di fatica per stare al passo. Ma imparate di più dall’avere attorno persone che vi sono di stimolo, piuttosto che persone che vi ammirano per quanto bravi siete.

Sull’affacciarsi al mondo del lavoro direi due cose: la prima, per me ha funzionato avere una passione (l’informatica) e non badare troppo ne’ a quelle che sono le aspettative più ovvie (so fare X, perciò cerco lavoro in X), ne’ alle scomodità che arrivano con le opportunità più interessanti (devo cambiare paese, etc).

La seconda, non abbiate paura di “non essere capaci”. Tutti non siamo capaci. Studiamo e lavoriamo continuamente per creare prodotti che prima non c’erano, per risolvere problemi che prima non erano risolti. Prima capiamo che è normale non avere tutte le risposte, prima iniziamo a imparare e migliorare. 

Ricordo una simpatica frase che mi rimase impressa a lezione durante il quarto anno ad Ingegneria: “un domani, nel lavoro, non siate timidi, non preoccupatevi se non sapete risolvere un problema, preoccupatevi di saperlo trovare.” (Prof. Vitaliani)

Grazie Francesco e in bocca al lupo per il futuro!

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