“Io sono nell’universo che osserva se stesso”: in viaggio con Faggin alla scoperta della consapevolezza
Una volta bianchissima decorata di scudi sovrasta le teste degli spettatori. Nelle loro cornici araldiche, i nomi di Alumni storici osservano il pubblico, mentre le occhiate curiose del pubblico ricadono sulla figura che siede al tavolo, capelli canuti, occhiali da vista e camicia di lino azzurra: Federico Faggin è l’ospite tanto atteso dell’incontro “Conversazione con Federico Faggin”, che si è tenuto mercoledì 2 luglio 2019 in Aula Nievo (Palazzo Bo), organizzato dall’Associazione Alumni dell’Università di Padova.
Ad affiancarlo sul palco salgono il Magnifico Rettore dell’Università di Padova prof. Rosario Rizzuto, che non manca di condividere la stima per uno scienziato che – con le sue invenzioni – ha plasmato il presente dell’elettronica e la forte emozione per una sala così gremita; il Presidente dell’Associazione Alumni prof. Andrea Vinelli, incaricato di moderare l’incontro e gestire le moltissime domande che il pubblico esprime nelle ore che seguono; il Vice-Presidente dell’Associazione, ing. Gianni Dal Pozzo, che conduce l’intervista sui temi della scienza, della tecnologia ma anche della spiritualità e della consapevolezza che Faggin, nel suo ultimo libro “Silicio”, affronta in maniera organica ed organizzata.
Padova come Alma Mater
Ma qual è stato – per l’uomo che ha inventato microchip e touchscreen, e che ha ricevuto la National Medal of Technology and Innovation dal Presidente Obama nel 2009 – il valore di aver studiato proprio a Padova?
Faggin racconta di aver intrapreso la carriera universitaria da lavoratore: è già un perito radiotecnico impiegato nella prestigiosa Olivetti degli anni ‘60, quando decide di dedicarsi agli studi universitari. Troppo forte la curiosità di capire il principio di funzionamento, la fisica, che stava dietro alle tecnologie che utilizza ogni giorno. A cosa serve saper utilizzare un transistor, se non si capiscono i principi per cui funziona? E l’Ateneo di Padova, con la sua atmosfera stimolante e vivace, diventa il luogo dove la curiosità può trovare libero sfogo.
Iscrittosi al corso di laurea in fisica (direttamente al secondo semestre del I anno, dovendo recuperare in corsa gli esami mancati della prima metà dell’anno), Faggin si immerge nello studio dei più diversi argomenti, spesso eccedendo il programma assegnato, e si laurea a pieni voti e in anticipo con una tesi sul Flying-spot Scanner nel 1965.
Italia e Stati Uniti: innovazione e innovazioni
Faggin è sicuramente noto come inventore di molte delle tecnologie a fondamento dell’elettronica moderna, ma è stato in ugual parte startupper e imprenditore. In Synaptics, società da lui fondata, sviluppa touchpad e touchscreen, che presenta a Steve Jobs nel corso di un colloquio nei primi anni 2000, ma a cui rifiuterà di cedere l’esclusiva sull’invenzione.
È negli Stati Uniti che Faggin trovò terreno fertile per le proprie ambizioni imprenditoriali: non a caso – ricorda – sono gli Stati Uniti l’unico posto al mondo dove ogni anno vengono investiti 25-40 miliardi di dollari di venture capital nella creazione di nuove aziende, prodotti e servizi.
Faggin non manca di affrontare il tema dei cervelli in fuga verso l’estero: lui stesso emigrò negli Stati Uniti alla ricerca di fortuna. In Italia – nota – i giovani talenti vengono spesso visti come ingombranti e difficili da gestire, per via del loro potenziale di disturbo ad apparati già costituiti. Ma neppure negli Stati Uniti la strada non è sempre in discesa: si sente chiara l’eco dell’esperienza in Intel, in cui Faggin ha lavorato dal 1970 al 1974, dove ebbe vita dura nel convincere i propri superiori – dopo mesi di insistenza – a sviluppare la tecnologia del microchip. Fu il mercato poi a dare ragione all’intuizione di Faggin: Intel si convince della necessità di sviluppare i microprocessori solo quando IBM ne avvia la vendita, nel 1985.
Ed è proprio in relazione alle proposte innovative che vengono dal basso che il Vice-Presidente di Alumni, l’ingegner Gianni Dal Pozzo, fa notare la svolta, in termini di cultura organizzativa, di cui Synaptics si fece interprete rispetto a molte altre aziende dell’epoca. L’impresa di Faggin dimostrò fin da subito attenzione ed ascolto per le idee brillanti dello staff, concependo il datore di lavoro come un consulente al servizio della creatività dei propri dipendenti. Forse – ammette Faggin – si trattò più di lungimiranza che di originalità: un modo diverso di fare impresa esisteva già, ma fu un gesto di intuito e coraggio prendere una filosofia minoritaria e di nicchia e portarla nella propria azienda. Filosofia che, oggi, sta alla base di aziende come Google.
Testa, pancia, cuore
Una vita “di testa”, quella spesa sui libri di fisica e a progettare un modo per innovare i transistor: ingegno, analisi, raziocinio. Una vita “di pancia”, quella dell’imprenditore, spesa a correre rischi, cercare investimenti, innovare processi e prodotti per renderli più aderenti ai reali bisogni del mercato. Arriva però un momento in cui gli aneddoti del passato fanno posto a un discorso tutto orientato al presente: la vita che definisce non più “di testa” o “di pancia”, ma “di cuore”.
Durante tutto il mio percorso di inventore e imprenditore – dice Faggin – proiettavo la mia felicità nel futuro, legandola al raggiungimento del successo. Ma raggiunto l’apice, ciò che convenzionalmente viene considerato il successo, e dimenticati per sempre i problemi più prettamente economici, mi sono reso conto di non essere ancora “arrivato”. Si apre così una nuova fase, una nuova ricerca, lontana dalla tecnica e dall’elettronica, e completamente orientata alla spiritualità ed i sentimenti.
Il profumo della rosa
Gli ultimi dieci anni della sua vita sono stati dedicati alla costituzione ed allo sviluppo della Federico and Elvia Faggin Foundation, un’organizzazione dedicata alla ricerca scientifica sulla consapevolezza, a partire dall’assunto che questa non è un epifenomeno del cervello.
Quando si parla di consapevolezza di sé, Faggin rifiuta categoricamente l’idea che essa sia una proprietà emergente dalla materia, perché la materia non è cosciente nelle sue componenti basilari. Se la scienza sa infatti spiegare come il cervello possa tradurre dei segnali chimici come l’odore della rosa in segnali elettrici nei neuroni che compongono il cervello, questo paradigma di traduzione di segnali non ci avvicina minimamente a capire come e come mai noi esseri umani sentiamo il profumo della rosa, oltre a percepirne l’odore.
Insomma, un passaggio indebito quello che viene fatto da materia a coscienza, eliminato il quale verrebbe meno anche la pretesa di un’intelligenza artificiale che eguagli l’uomo. Se l’intelligenza artificiale traduce simboli in altri simboli, essa rimane un mero esecutore di calcoli, con l’unico vantaggio di essere più veloce dell’uomo. Ma, nel suo calcolare, essa non comprende i significati, e rimane qualitativamente diversa dall’intelligenza umana, in grado di provare sentimenti e… sentire profumi laddove una macchina può solo riconoscere odori.
“Io sono solo un oggetto separato dagli altri oggetti, come la fisica concepisce le cose; io sono il punto di vista dell’universo che osserva se stesso…”
Così dice Faggin, aperto a tematiche definibili senza mezzi termini mistiche, e invita ad abbandonare l’uso della sola ragione, per riscoprire quegli elementi che non ritiene quantificabili in un modello matematico: spiritualità, interiorità, sentimenti, amore. Nel raccontare, seduto davanti alla platea, il suo percorso di esperienze vario e intensissimo, ammette infatti di essere soddisfatto non tanto per aver inventato delle tecnologie rivoluzionarie, ma per aver potuto vivere appieno i diversi stadi e le diverse sfumature della vita.
Si chiude così l’intervento, fra scroscianti applausi e trepidante attesa per il “terzo tempo” con lo scienziato, da spendersi con uno spritz in mano al Caffè Pedrocchi. Con grande umiltà, l’inventore del microprocessore rimarrà per ancora molto tempo seduto, questa volta a un tavolino del Caffè Pedrocchi, a firmare le copie della sua autobiografia, Silicio, e a discutere di fisica quantistica con diversi studenti universitari.
Che fra loro ci sia chi, fra cinquant’anni, verrà a Palazzo Bo a raccontare di come ha cambiato il mondo?
Ph. Credit: Claudia De Dominicis
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