“Sin dagli albori della mia carriera da medico ricercatore ho esplorato il ruolo dei biomarcatori sanguigni come strumento di medicina di precisione nei pazienti affetti da sclerosi multipla.” – Intervista a C. Barro, vincitore del premio di merito “Maria Paola Belloni” (VI ed.)

7 Novembre 2022 Associazione Alumni_admin Categories Interviste Medicina, news

Il Dott. Christian Barro è un medico ricercatore nel campo della sclerosi multipla.

Originario di Nervesa della Battaglia, si è appassionato presto alla mountain bike nelle bellissime colline trevigiane e alla scienza.

Dopo essersi laureato in Medicina e Chirurgia con una tesi in Neurologia (relatori Prof. Paolo Gallo e Prof. Marco Puthenparampil) si è trasferito a Basilea in Svizzera per dedicarsi alla ricerca scientifica.

È qui che, a seguito di una serie di notevoli successi, ha conseguito il dottorato in Ricerca Clinica (PhD) e numerosi articoli scientifici sono stati riconosciuti da prestigiosissimi premi e conferenze internazionali.

Il suo lavoro ha spianato la strada all’uso di marcatori sanguigni per quantificare l’attività di malattia nei pazienti affetti da malattie neurologiche. Una cosa che all’epoca era impensabile.

Grazie al successo ottenuto nella confederazione elvetica, è riuscito a ottenere una posizione da Postdoctoral Research Fellow a Harvard Medical School in Boston, Stati Uniti.

Qui, ha esteso le proprie conoscenze scientifiche nella ricerca clinica e nella ricerca di base volte a migliorare il trattamento dei pazienti affetti da sclerosi multipla.

Attualmente, continua a perseguire lo sviluppo di metodi di medicina di precisione come scienziato in un’industria di biotecnologie, Biogen, locata in Kendall Square che è il luogo all’apice della ricerca biomedica mondiale.

Buongiorno Dott. Barro e grazie per la disponibilità. Ci racconti qualcosa di lei.

Sono un medico scienziato appassionato di ricerca clinica e ricerca di base nell’ambito della neurologia.

Dopo aver completato gli studi in medicina e chirurgia all’Università degli studi di Padova, decisi di intraprendere una carriera nella ricerca biomedica.

Un importante passo è stato l’iniziare un dottorato in ricerca clinica nell’ospedale universitario di Basilea in Svizzera. Li ho potuto alternare alle attività di ricerca anche delle attività di lavoro clinico come specializzando in neurologia.

Il successo nella mia ricerca mi ha portato a continuare la mia carriera come scienziato a Harvard Medical School, negli Stati Uniti, dove la ricerca clinica si mescola con tecnologie di laboratorio di ultima generazione.

Sapeva da sempre di voler studiare Medicina e di intraprendere il percorso del dottorato?

Sono sempre stato affascinato dalla ricerca biomedica.

Studiare medicina mi ha dato una forte base da cui partire. Fare il dottorato e il post-dottorato mi han poi consentito di aggiungere alle mie conoscenze nozioni che altrimenti sarebbero state accessibili solamente come parte di corsi di studio in biologia molecolare o biotecnologie.

Questi studi mi hanno dato le basi necessarie per portare a termine importanti ricerche di laboratorio con il potenziale di migliorare la pratica clinica.

Com’è nata l’idea di procedere verso lo studio della sclerosi multipla?

Mi ero appassionato di neurologia durante i miei studi, ma la scelta della sclerosi multipla è stata per il fatto che molte persone ne erano affette e per ragioni scientifiche in quanto non vi era molta conoscenza dei sottostanti meccanismi e cause.

Su questo ringrazio il Prof. Paolo Gallo e Prof. Marco Puthenparampil della neurologia di Padova per i consigli datemi.

Quali conseguenze hanno i suoi studi?

Gli anni recenti hanno visto una svolta nel campo delle opzioni terapeutiche per la sclerosi multipla; tuttavia, il miglioramento delle prospettive terapeutiche non si è accompagnato ad un progresso nel campo degli strumenti capaci di valutare il miglior trattamento per il singolo paziente.

La medicina di precisione si propone come strumento per individuare il miglior trattamento per ogni determinato paziente.

Sin dagli albori della mia carriera da medico ricercatore ho esplorato il ruolo dei biomarcatori sanguigni come strumento di medicina di precisione nei pazienti affetti da sclerosi multipla.

Ho iniziato sviluppando metodi capaci di misurare nel sangue la concentrazione di una proteina dei neuroni, i neurofilamenti.

La possibilità di misurare la concentrazione di neurofilamenti (NfL) nel sangue ha concretizzato l’incredibile possibilità di studiare il livello di danno neuronale quasi in tempo reale.

Questo biomarcatore si è rivelato capace di riflettere l’attività acuta di malattia e la sua utilità come misura d’efficacia di una terapia è attualmente in fase di convalida. Essendo NfL parte dei neuroni, non è specifico per la sclerosi multipla, quindi non è diagnostico.
Ma può essere impiegato per monitorare il danno neuronale virtualmente in ogni patologia neurologica. Considerando la complessità della patologia, durante il mio postdoc a Harvard Medical School ho potuto esplorare l’uso di un marcatore sanguigno dell’attività degli astrociti, che dai nostri dati dimostra capacità prognostica in pazienti affetti dalla sclerosi multipla. Quindi un ruolo complementare ai neurofilamenti.

Le mie ricerche hanno posto le basi all’utilizzo di marcatori sanguigni per quantificare diversi aspetti della sclerosi multipla in modo semplice e non invasivo.

Ha ottenuto i risultati previsti?

I risultati hanno raggiunto e superato di gran lunga le previsioni iniziali. L’utilizzo di questi biomarcatori del sangue si è consolidato in tutte le patologie neurologiche.

I miei studi sono pubblicati in più di 70 articoli scientifici e citati più di 6000 volte.

Sono stato invitato a presentare i risultati ottenuti a conferenze di livello nazionale e internazionale come la conferenza annuale di neurologia Spagnola e poi quella Francese, e all’incontro annuale della società Europea di neurologia.

Il successo e l’importanza di queste ricerche sono stati coronati da numerosi riconoscimenti internazionali in Svizzera, Germania, Francia e ora a Padova attraverso il premio dedicato alla memoria di Maria Paola Belloni.

Il suo studio è già applicabile ovunque o è ancora in fase di sviluppo?

La quantificazione dei biomarcatori oggetto dei miei studi è ora in uso in alcuni centri universitari europei e nordamericani dove si sta investigando il miglior metodo d’utilizzo.

Possiamo dire che sono in una fase finale dello sviluppo.

Cosa le ha dato la sua esperienza nell’Università di Padova?

Certamente l’Università di Padova mi ha dato una vasta e robusta base di conoscenze e una forte determinazione a continuare le mie passioni.

Com’è cambiata la sua vita da quando vive e lavora in America e quali sono, a suo avviso, le principali differenze con l’ambiente formativo e professionale in Italia?

Il modo di vivere è certamente diverso da quello europeo.

Boston è un posto speciale perché il fulcro della ricerca biomedica mondiale, quindi si scosta dalle altre città anche americane.

La differenza principale che ho visto tra il mondo accademico professionale in Italia e negli Stati Uniti è l’integrazione tra il mondo clinico e il mondo della ricerca.

Negli Stati Uniti, i laboratori di ricerca sono parte integrante dell’ospedale ed è una cosa comune che il medico alterni giorni o mezze giornate tra ricerca in laboratorio e attività clinica.
C’è quindi una flessibilità dell’impiego che permette ad un medico di essere immerso sia nella clinica che in laboratorio dove può imparare tecniche di ricerca di base da altri professionisti come i biologi.

E i ricercatori di base vengono coinvolti in seminari e presentazioni cliniche per mantenere un team multiprofessionale capace di andare oltre le conoscenze del singolo.

Un’altra differenza interessante, qui però tra l’Europa e l’America, è che in America non ci si chiama per titoli (dottore o professore) o per cognome, ma ci si chiama per nome e non si percepisce una gerarchia; quindi, tutte le opinioni hanno lo stesso valore.
Il che aiuta molto i giovani ricercatori a portare avanti le loro idee anche in autonomia.

Cosa significa per lei essere Alumno e la vincita del Premio “Maria Paola Belloni”?

Essere Alumno per me significa portare con me il legame con l’Università di Padova.
Il successo nella mia carriera personale beneficia al successo e reputazione dell’Università di Padova e viceversa.

Mi rende per questo molto orgoglioso l’essere insignito di questo importante riconoscimento di merito.
Ringrazio l’associazione Alumni dell’Università degli Studi di Padova e la Famiglia Regazzo per rendere possibile questo importante riconoscimento.

Grazie mille Dott. Barro e in bocca al lupo per i suoi lavori futuri!

Se la storia di Christian Barro vi ha incuriositi, non perdete la possibilità di conoscerlo partecipando ad Alumni Awards!

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