“Il nostro è il lavoro più bello del mondo”: intervista allo scienziato Luigi Leanza, vincitore del premio “Maria Paola Belloni” edizione 2019
La quarta edizione del Premio “Maria Paola Belloni” si è conclusa con la vittoria di Luigi Leanza, professore associato del Dipartimento di Biologia presso l’Università di Padova.
Il concorso nasce in memoria di Maria Paola Belloni, mancata nel 2015, Presidente di Data Medica Padova S.p.A. e Vice Presidente dell’Associazione degli Amici dell’Università di Padova, da sempre appassionata sostenitrice di progetti di ricerca connettori tra mondo accademico e delle imprese.
L’Università degli Studi di Padova, con le Associazioni Alumni e Amici, e grazie al sostegno della Famiglia Regazzo, conferma ancora una volta il suo impegno nel supportare l’avanzamento della conoscenza scientifica sul territorio nazionale e fuori confine. Nelle scorse edizioni sono stati premiati Massimiliano Calabrese, Luca Azzolin e Gianluca Torregrossa, tutti distintisi per contributi di alta qualità e innovazione in ambito medico, biomedico e farmaceutico.
Luigi Leanza prosegue la lista di eccellenze, a riconoscimento della crucialità delle sue ricerche sui canali del potassio mitocondriali. Gli studi di Leanza, infatti, forniscono un contributo importantissimo alla comprensione dei meccanismi di risposta cellulare a stimoli fisiopatologici, e promettono nuovi sviluppi nella diagnosi e terapia anti-tumorale.
In attesa di poter celebrare pubblicamente la sua premiazione, abbiamo raggiunto telefonicamente Luigi Leanza per un commento e una breve intervista.
Fin da subito si è distinto accademicamente all’Università di Padova vincendo il Premio “Giovani Studiosi”: oggi, ancora una volta ottiene un riconoscimento al merito, risultando vincitore della IV edizione del Premio “Maria Paola Belloni”. Quanto è significativo il ruolo dell’Università nel supportare la ricerca?
Il supporto alla ricerca e alla formazione dei giovani scienziati da parte dell’Università è molto importante, e non è mai mancato: esempi concreti sono il Premio “Maria Paola Belloni”, di cui ringrazio le Associazioni Amici e Alumni e la Famiglia Regazzo, ma anche il bando “Giovani studiosi”, un finanziamento da me vinto nel 2012.
A quel tempo ero assegnista a Padova e quel riconoscimento mi ha permesso di crescere e muovere i primi passi nella ricerca, gestendo anche un piccolo finanziamento. Per me è stato un ottimo punto di partenza: da lì ho potuto concorrere per finanziamenti sempre più cospicui, dimostrando di volta in volta di poterli trasformare in validi output di ricerca, partendo dallo stesso Dipartimento per cui oggi lavoro, ma collaborando anche con altri Enti, quali per esempio l’Associazione Italiana per la ricerca sul Cancro.
I risultati preliminari sono molto importanti per poter avanzare nella ricerca e in questo il ruolo dell’Università è cruciale.
Ad oggi sono responsabile nella formazione del personale di laboratorio, degli studenti, degli assegnisti, così come della gestione dei fondi di ricerca. Io e i miei colleghi abbiamo il dovere di investire in conoscenza e applicazioni utili che portino beneficio non solo alla comunità scientifica, ma anche all’intera collettività.
Oltre al lavoro di studio e ricerca, lei è anche docente. Ripensando ai suoi professori universitari, che insegnamenti mette in pratica a sua volta oggi?
I miei professori universitari mi hanno trasmesso molto, ma la cosa più importante è sicuramente la passione per la ricerca e per la scienza.
Quando mi sono iscritto a Padova, era stato appena istituito il Corso di Biologia Molecolare, che riuniva tutte le materie che mi interessavano: già all’epoca avevo l’aspirazione di lavorare in questo specifico ambito.
Oggi sono un docente di quello stesso corso di laurea, e ogni volta che entro in aula mi ricordo quando ero studente, e provo una certa emozione. Pensi che sono stato inserito per la prima volta in una commissione di laurea esattamente lo stesso giorno della mia laurea! Seduto accanto a quelli che erano i miei professori di allora, ho guardato i ragazzi e ho rivissuto con loro quella che è stata la mia esperienza.
E’ una responsabilità, ma è anche un lavoro che mi dà molte soddisfazioni, prima fra tutte il rapporto con gli studenti: cerco sempre di trasmettere loro la stessa passione per la scienza, la ricerca, e lo studio che i miei docenti mi tramandarono… la curiosità di cercare qualcosa di nuovo dietro a ogni cosa!
All’interno del suo curriculum, compaiono diversi periodi di studio e ricerca all’estero. Qual è stato il valore di queste esperienze? Come l’hanno cambiata? Cosa hanno portato in più alla sua formazione umana e professionale?
Sono andato in Svezia il mio ultimo anno di magistrale: un’esperienza formativa che continuo a incentivare da referente Erasmus del mio corso di studio. Di recente ho ricontattato il mio supervisore di ricerca del periodo Erasmus – con il quale ho mantenuto un bel rapporto -, proprio per informarlo che un mio studente voleva seguire le mie orme!
Il soggiorno in Svezia mi ha arricchito molto. I laboratori, principalmente all’estero, permettono un più facile incontro con scienziati e ricercatori provenienti da realtà diverse, favorendo un continuo confronto e scambio di conoscenze e competenze fra membri della comunità scientifica. Nella mia visione, anche questo è “fare scienza”!
Quello che mi sento di consigliare a chi va a effettuare un periodo di ricerca all’estero è di vivere queste esperienze come opportunità per migliorare il proprio curriculum, le proprie competenze e, perché no, poter accedere a qualche bando o posizione in Università o centri di ricerca.
Un consiglio ai giovani Alumni e Alumnae che vorrebbero intraprendere un percorso simile al suo: quali gli step da fare?
Guardandomi indietro, sono soddisfatto del mio percorso: sono stato fortunato in primis per le possibilità di istruzione e crescita professionale offerte dalla nostra Università, indubbiamente ai primi posti a livello mondiale per la formazione degli scienziati.
In secondo luogo, sono contento di aver preso parte a gruppi di ricerca che mi hanno stimolato e fatto crescere professionalmente, portandomi a essere la persona e lo scienziato che sono oggi.
Ai miei studenti dico sempre che il nostro è il lavoro più bello del mondo, perché ti permette di studiare sempre cose nuove nella speranza di riuscire ad aiutare gli altri. La missione dello scienziato è proprio questa!
Se si vuole diventare uno scienziato, è importante svolgere un dottorato di ricerca – per aumentare le proprie conoscenze – e svolgere un periodo di ricerca all’estero – fondamentale per la crescita personale e per capire quale direzione prendere.